FALLACI: UNA VITA RACCONTATA DA LEI STESSA
BIOGRAFIA E OPERE SECONDO LA NARRAZIONE DELL’AUTRICE
Roma, 15 set. (Adnkronos) – Oriana Fallaci nasce a Firenze il 29 giugno 1929, negli anni del potere mussoliniano. Durante la giovinezza, lo stato politico e sociale dell’Italia ebbe un notevole influsso sulla sua vita, cosi’ come la figura del padre, un liberale contrario alla corsa al potere di Mussolini, il quale continuo’ l’opposizioneper tutto il periodo fascista. Quando l’Italia decise dientrare attivamente nella Seconda Guerra Mondiale, Oriana Fallaci aveva poco piu’ di dieci anni.
Unendosi al padre nel movimento clandestino di resistenza, divenne membro del corpo dei volontari per la liberta’ contro il nazismo. Nell’occupazione di Firenze da parte delle truppe naziste, il padre fu catturato, imprigionato e torturato, prima di essere rilasciato vivo.
A quattordici anni, ricevette un riconoscimento d’onore dall’Esercito italiano per il suo attivismo durante la guerra.
Il conflitto fini’ nel 1945 e di li’ a poco, Oriana avrebbe deciso di diventare una scrittrice: ”La prima volta che sedetti alla macchina da scrivere, mi innamorai delle parole che emergevano come gocce, una alla volta, e rimanevano sul foglio? ogni goccia diventava qualcosa che se detta sarebbe scivolata via, ma sulle pagine quelle parole diventavano tangibili”.
Molti sono i ricordi della figura paterna, alcuni dei quali affiorano in un’intervista di Luciano Simonelli del 1979, svoltasi nella suite del Grand Hotel Excelsior di Roma e durante la quale la scrittrice rivelo’: ”Andavo a caccia, mi ci portava mio padre. Avevo nove, dieci anni quando, al capanno, il babbo m’insegno’ a sparare. E continuai fino verso i venticinque anni, trenta. Poi un giorno mi accorsi che il fucile era sporco. Sai, lo sporco che impolvera l’interno delle canne quando non lo si usa. E mi chiesi da quanto tempo non l’adoperavo. E scoprii che era un tempo lunghissimo”.
E poi il ricordo della madre, cui s’intrecciano i giorni trascorsi insieme a Panagulis, l’uomo, poeta e martire di ”Un Uomo” (1979), cui la scrittrice e’ stata legata sentimentalmente: ”Le due creature che amavo di piu’. Le amavo tanto che dividere il mio amore per loro era una fatica quasi drammatica; voglio dire, il tempo che passavo con l’uno mi sembrava rubato a quello che avrei dovuto passare con l’altra e? Una della scale, tra piano terreno e primo piano, nella mia casa di campagna, e’ quella che unisce l’appartamento dove viveva la mamma e l’appartamento dove vivevamo io e Alekos. Ebbene, quando ero li’ con entrambi, era tutto un correre su e giu’ per quelle scale?
Su e giu’, su e giu’. Poi, di colpo, nel giro di pochi mesi, l’immobilita’. Se ne erano andati tutti e due”. Oriana Fallaci inizio’ la sua carriera di giornalista con un articolo di cronaca, ma le sue doti spiccate le valsero in fretta degli incarichi importanti. Presto comincio’ ad intervistare figure politiche di rilievo e a seguire gli eventi internazionali. Ha lavorato per il settimanale ”Europeo” – fino a quando la pubblicazione ha chiuso i battenti – e collaborato con altretestate, sia in Europa, che in America.Ha intervistato figure del calibro del direttore della Cia William Colby, il primo ministro pakistano Ali Bhutto, l’iraniano ayatollah Khomeini, concentrandosi sul loro ruolo di figure dominanti nel sistema politico internazionale. ”Non mi sento di essere e non mi sentiro’ mai come un freddo registratore di cio’ che vedo e sento, scrive nella prefazione a ”Intervista con la storia”, il libro che le ha raccolte tutte (1974).
”Su ogni esperienza personale lascio brandelli d’anima e partecipo a cio’ che vedo o sento come se riguardasse me personalmente e dovessi prendere una posizione (infatti ne prendo sempre una basata su una precisa scelta morale)”. Una delle sue interviste politiche piu’ famose, almeno nella memoria degli americani, rimane quella con il segretario di stato americano, Henry Kissinger.
Prima dell’intervista con Oriana Fallaci, Kissinger era stato sempre restio a rivelare alla stampa fatti
riguardanti la sfera privata. Durante l’intervista, la Fallaci aveva chiesto al segretario di stato di spiegare la celebrita’ che, come diplomatico, aveva raggiunto.
Inizialmente Kissinger evito’ la domanda ma, in seguito all’implacabilita’ della Fallaci, rispose: ”A volte mi vedo come un cowboy che guida la carovana da solo sul suo cavallo, un western se preferisce”.E’ interessante notare, tuttavia, come la Fallaci consideri la sua intervista con Kissinger una delle peggiori mai fatte (l’allora segretario di Stato annovero’ l’aver rilasciato l’intervista tra i propri maggiori errori). Tra le altre, si possono ancora ricordare quella con Federico Fellini e Sean Connery, Yassir Arafat e Von Braun.
Per il suo passato di membro del movimento di Resistenza con cui combatte’ i nazisti durante la guerra e per i suoi sentimenti verso quegli stessi uomini che avevano arrestato, imprigionato e torturato il padre, la Fallaci fu portata ad avere una forte reazione verso Wernher von Braun, ex soldato e scienziato del regime nazista. Lo ammette nel suo racconto dell’intervista, anche se la trascrizione della stessa mostra una straordinaria e assai professionale imparzialita’. L’odore di limone nel respiro di quell’uomo e la memoria di quel profumo la disturbo’.
Lei stessa ne disse: ”Ricordo i soldati tedeschi, tutti lavati con il sapone disinfettante che odoravadi limone. Tutti sentivamo quell’odore”. La dedizione della Fallaci all’espressione di se’ inizio’ molto presto. Ricorda di aver scritto ”brevi storie ingenue” a nove anni. ”Ma – racconta – iniziai a scrivere davvero a sedici, quando divenni reporter a Firenze. Ho iniziato con il giornalismo per diventare scrittrice”.
Quando le chiesero quali circostanze fossero state importanti per la sua carriera, la Fallaci rispose: ”prima di tutto il fatto di appartenere ad una famiglia liberale e impegnata politicamente. E poi,il fatto di aver vissuto – durante l’infanzia – i giorni eroici della Resistenza in Italia attraverso mio padre che ne era leader. E ancora,il fatto di essere fiorentina. Insomma, e’ il risultato di una certa civilta’ e cultura. Comunque, a volte mi chiedo se il fattore piu’ motivante non sia stato il fatto di essere nata donna e povera. Quandosei una donna, devi combattere di piu’. Di conseguenza, devi vedere dipiu’ e pensare di piu’ ed essere piu’ creativa. Lo stesso quando nasci povero. La sopravvivenza e’ una grande motivazione”.
Il fine della sua scrittura, secondo quanto lei stessa ha riferito, ”e’ quello di raccontare una storia con un significato, non certo i soldi”. Invece, il fattore motivante di tutti i suoi libri e’ ”una grande emozione, un’emozione psicologica o politica e intellettuale. ‘Niente e cosi’ sia’ (1969), il libro sul Vietnam, per me non e’ nemmeno un libro sul Vietnam, e’ un libro sulla guerra”.
”Lettera ad un bambino mai nato” (1975) nacque a causa della perditadi un bambino.
”Un uomo” (1979) e’ stato scritto in seguito alla morte del suo compagno Alekos Panagulis e al dolore di una simile perdita.
”Comunque, si dovrebbe notare che il motivo portante dei miei libri e’ il tema della morte. Questi tre libri parlano sempre di morte o si riferiscono alla morte, al mio odio per la morte, alla mia battaglia contro la morte? La liberta’ e’ solo uno tra i tanti altri argomenti. Cio’ che davvero mi spinge a scrivere e’ la mia ossessione per la morte”, ha detto Fallaci.
Oriana Fallaci ha detto del suo modo di lavorare: ”Inizio a lavorare presto la mattina (otto, otto e mezza) e vado aventi fino alle sei o sette di sera senza interruzione, senza mangiare e senza riposare. Fumo piu’ del solito, il che significa circa cinquanta sigarette al giorno. Dormo male la notte. Non vedo nessuno. Non rispondo al telefono. Non vado da nessuna parte.
Ignoro le domeniche, le feste, il Natale, il Capodanno. Divento isterica in altre parole e infelice e colpevole se non produco molto. A proposito, sono una scrittrice molto lenta. E riscrivo ossessivamente. Quindi mi ammalo e divento brutta, perdo peso e divento piu’ rugosa”.
Nel romanzo ”Insciallah (1990)”, la Fallaci scrive la storia delle truppe italiane stazionate in Libano nel 1983. Come nei suoi altri romanzi, presenta gruppi e individui che lavorano per mettere la parola ”fine” alle loro oppressioni. Tra i suoi scritti si ricordano ancora ”Sesso inutile” (1961), ”Penelope va alla guerra” (1962), ”Se il sole muore” (1965). I suoi libri sono stati tradotti in decine di lingue.
– Consegnandole la laurea ad honorem in letteratura, il rettore del Columbia College of Chicago la defini’: ”Uno degli autori piu’ letti ed amati al mondo”.C’e’ tutta una tradizione critica che la vuole egocentrica, ”incapace di ascoltare altre voci oltre la propria” (Charles Dikey del ”Los Angeles Times Book Review”), inavvicinabile, burbera e talvolta stizzosa; ma a Oriana Fallaci questo importa poco, infatti non conserva le critiche ai suoi libri e dice: ”Non mi interessano i critici. Sono quasi sempre scrittori falliti e, di conseguenza, invidiosi e gelosi di chi scrive. Trovo la loro professione vergognosa perche’ e’ cosi’ sleale e stupido improvvisare giudizi in un piccolo articolo dopo il lavoro di anni di uno scrittore. Credo che i veri critici siano i lettori”.
Nella sua lettera a Pier Paolo Pasolini, scritta in seguito al tragico evento della morte dello stesso, affermava: ”In una strada deserta, c’era un bar deserto, con la televisione accesa. Si entro’ seguiti da un giovanotto che chiedeva stravolto: ”Ma e’ vero, e’ vero?” E la padrona del bar chiese: ”Vero cosa?”. E il giovanotto rispose: ”Di Pasolini, Pasolini ammazzato!”. E la padrona del bar grido’: ”Pasolini Pier Paolo? Gesu’! Gesummaria! ammazzato! Gesu’! Sara’ una cosa politica!”. Poi sullo schermo della televisione apparve Giuseppe Vannucchi e dette la notizia ufficiale. Apparvero anche i due popolani che avevano scoperto il tuo corpo. Dissero che da lontano non sembravi nemmeno un corpo, tanto eri massacrato. Sembravi un mucchio d’immondizia e solo dopo che t’ebbero guardato da vicino si accorsero che non eri immondizia, eri un uomo. Mi maltratterai ancora se ti dico che non eriun uomo, eri una luce e che una luce s’e’ spenta?”
In risposta all’orrore dell’11 settembre 2001, Oriana Fallaci rompe un silenzio durato dieci anni dando alle stampe ”La rabbia e l’orgoglio”, uno sfogo duro e appassionato che pone a confronto due culture, l’America e l’Italia, ”lontani non solo sulle cartine, ma anche nell’anima”. Riemersa da un esilio autoimposto, l’autrice espone come un fiume in piena le proprie idee sulla politica, la societa’, la Guerra Santa, l’Islam, inframezzando il tutto con i ricordi delle proprie esperienze personali, di giornalista e scrittrice.
Il 12 marzo 2004, all’indomani della strage alla stazione Atocha di Madrid compare sugli scaffali delle librerie, nelle edicole, sui banchi dei supermercati ”La forza della ragione”, un altro libro controverso, denso di pensieri e di esperienze personali che mostrano al lettore il percorso di maturazione di un sincero rancore verso l’Islam e verso il mondo arabo in generale. Un libro di attualita’, discutibile, ma pregno anche di spunti e di interessanti riflessioni.
Infine, un libretto allegato al quotidiano ”Corriere della Sera” del 6 agosto 2004. L’ultimo personaggio intervistato nel ciclo della Storia vissuta e riportata dalla vulcanica giornalista e’ un simbolo dell’epoca che stiamo vivendo. Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci.
MORTA FALLACI: SCIALOJA, DIO L’ACCOLGA IN PACE
(ANSA) – ROMA, 15 set – “Dio l’accolga in pace”. Cosi’ il consigliere della Lega Musulmana Mondiale e consigliere di amministrazione del Centro Islamico Culturale Italiano Mario Scialoja ha accolto la notizia della morte di Oriana Fallaci. “So che era malata da tempo – ha proseguito Scialoja – e non e’ opportuno fare commenti sulle persone decedute ma mi dispiace che sia morta”. Scialoja ha definito la Fallaci “una grande scrittrice e una grande giornalista” sostenendo pero’ che “negli ultimi anni ha avuto una vena critica eccessiva nei confronti dell’ Islam”. L’esponente musulmano ha dichiarato di conoscere la Fallaci da trentacinque anni: “Ci davamo del tu e mi e’ capitato di assisterla nella sua carriera a Mosca come a New York, e non ho capito perché di recente abbia detto di non avermi mai conosciuto. Faccio – ha concluso Scialoja – le mie condoglianze alla sua famiglia”.
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