os - OSTINATE 
 SORPRESE

Quale sia la cifra, volendone citare una soltanto, della musica occidentale da quando questa abbia stabilizzato la sua codifica, non è affar da poco a definirsi. Le sensibilità culturali hanno subito trasformazioni enormi dagl’inizi del secondo millennio, quando alle note musicali è stata assegnata una simbologia più o meno accettata universalmente. Eppure c’è un qualcosa che, nonostante le diversità degli stili, dei luoghi, degli scopi ha sempre attratto l’idea della composizione musicale e ne ha costituito il suo fondamento, sia pure mascherato, sia pure involontario.
Una sorta di compulsione a sorprendere ha governato le origini della musica occidentale. Temi che s’intrecciano, che si contrappongono, che si accapigliano, figurazioni che si contrastano, che inaspettatamente si fondono, che generano nuove idee. L’uguale a se stesso ripetuto tante volte è per gli stupidi, come più o meno scrisse Schönberg in uno dei suoi numerosi saggi sulla musica. Per gli insicuri, per gli intelletti semplici, per gli ascensori, per le hall degli alberghi di lusso, verrebbe da aggiungere. E non arricchisce chi l’ascolta.
La musica che arricchisce sorprende e toglie certezze. Platealmente, a volte; più spesso, invece, sommessamente. Istillando l’aspettativa dove è meno prevedibile. Avrei potuto citarne tanti, ma riprendo un esempio che mi è caro: la messa costruita da Josquin DesPrez, sommo fiammingo internazionale, sulla melodia de L’Homme Armé, con l’illuminante specificazione di essere trattata “super voces musicales”. Oltre quaranta sono le messe scritte nel rinascimento su L’Homme Armé, popolare canzone da taverna, all’epoca nota a tutti: utilizzarla in nuove composizioni (come è accaduto a tante altre composizioni coeve su melodie note) generava un livello di comunicazione allo stesso tempo prevedibile e sorprendente tra compositore e ascoltatore. La sorpresa della ricchezza compositiva e la prevedibilità della melodia nota. Ma come se il fitto discorso musicale che le voci imbastiscono sul tenor popolare non fosse sufficiente a tramutare in sorpresa la familiare melodia, Josquin la cambia d’abito in ogni sezione della messa. Ogni volta la ripetizione del tenor sale di grado e col mutare dei gradi muta anche il tono ecclesiastico del brano: una sapienza sorprendente che stimola l’interesse uditivo dell’ascoltatore senza che questi riesca immediatamente a comprendere dove si generi la tensione emotiva e uditiva della composizione. ”L’uomo in armi” conduce tutte le voci e con esse l’ascoltatore in un’ostinata ascesa ideale intrisa del simbolismo iniziatico, che l’ascoltatore dell’epoca era capace di percepire e che il filtro dei secoli ha fatto perdere all’ascoltatore odierno.
Ma con il “seicento” la sensibilità, il gusto, la cultura e il pubblico cambiano e i decoratori del barocco si sostituiscono agli architetti rinascimentali e prendono a torcere, adattare, arricchire: facciate, cupole, statue, palazzi passano dalla severa purezza classica alla sorpresa delle macchine teatrali. Non più nuove forme ispirate all’antico ma una loro reinterpretazione in chiave di “maraviglia” e l’invenzione musicale, dalle forme rinascimentali, si scioglie in mille rivoli e in mille direzioni, semplificando la citazione e arricchendo la decorazione di sonate, brani d’opera, concerti, danze e quant’altro. E la prevedibilità si rende più prevedibile: i tenor diventano bassi ostinati di poche note, le voci della sorpresa si riducono e la ricchezza contrappuntistica cede il passo al ricamo melodico per rendere la sorpresa meno inquietante. La nuova sensibilità tonale subentra agli antichi modi e il virtuosismo decorativo prende il posto della maestria architettonica. E su questo mi riprometto un prossimo, più dettagliato, intervento-

Giuseppe Schinaia

http://www.artapartofculture.net

Kandinskij e la musica

Categorizzato in: