Reding “Presto la proposta per le quote”
Le donne studiano di più e lavorano con grande impegno, ma la loro presenza e le retribuzioni sono di gran lunga più basse rispetto a quelle degli uomini. E difficilmente arrivano ai vertici. Il commissario per la Giustizia propone una direttiva che regoli le quote nei cda delle società quotate in borsa. Al Parlamento europeo un incontro tra i Paesi per fare il punto
La vicepresidente del Parlamento Europeo, Roberta Angelilli
BRUXELLES – Sono la maggioranza della popolazione, studiano e si laureano prima e di più degli uomini, ma nel mondo del lavoro e della politica la loro presenza è di gran lunga inferiore. Soprattutto, le donne non raggiungono quasi mai i livelli più alti della carriera. Il “cattivo esempio” parte dall’alto, da quelle istituzioni che dovrebbero fare le leggi per offrire alle donne le stesse opportunità degli uomini. “Se guardiamo i dati della composizione del Parlamento e della Commissione, i risultati non sono affatto confortanti – dice Roberta Angellilli, vicepresidente del Parlamento europeo e presidente del Gruppo di Alto livello e l’uguaglianza di genere che, assieme a Mikael Gustafsson, presidente della Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, ha organizzato un incontro tra i rappresentanti dei vari Paesi, per un confronto sulle buone prassi adottate dagli Stati per promuovere la parità tra donne e uomini -. Se non siamo noi a dare un modello da seguire, è impensabile che le imprese e le società decidano di favorire un’uguaglianza tra i generi”.
Una proposta che piace a molti, non a tutti. Impegnata a dare una spinta agli Stati membri nella direzione di una maggiore equità tra i generi all’interno dei cda delle società quotate in borsa è la vicepresidente della Commissione europea, commissaria per la Giustizia, Viviane Reding, che ha prima invitato le imprese ad organizzare in modo volontario piani dedicati alle donne, ma poi, avendo ottenuto risposta solo da 24 aziende europee, ha prospettato l’ipotesi di dare vita ad una direttiva che preveda quote dedicate alle donne all’interno dei consigli di amministrazione. Una proposta che piace a molti, ma non a tutti, dato che alcuni Stati, con l’Inghilterra in testa, si sono uniti in un gruppo di contrasto, per impedire che la legge venga formulata.
Le quote sono lo strumento per cambiare le cose. “Dopo l’invito della Commissione a fare qualcosa in questa direzione – ha spiegato Viviane Reding, intervenuta all’incontro-, nel 2011 il numero delle donne nei cda delle imprese è aumentato dell’1,9%, contro lo 0,5% dell’anno precedente. Guardando bene, questo incremento era dovuto a quei Paesi che hanno le quote rosa. Per gli altri non è successo nulla. Per questo la proposta della Commissione va in questa direzione, tenendo ben chiaro che le quote non sono l’obiettivo, ma lo strumento per rompere il tetto che impedisce alle donne di salire. Una volta conquistata l’uguaglianza, le quote non serviranno più”.
Le prime vittime della crisi. In un momento in cui, poi, la crisi economica sta mettendo a dura prova il mondo del lavoro, sono sempre le donne le prime vittime: “A parità di ruoli – aggiunge Angelilli – la retribuzione femminile è più bassa e, se c’è la necessità di applicare tagli, la componente femminile è quella che ne fa per prima le spese”. Una questione importante, ma che non sempre interessa la parte maschile. “È un argomento che riguarda tutti, indistintamente – ha insistito Gustafsson – e bisognerebbe coinvolgere anche gli uomini in altri campi generalmente affidati alla donna (l’educazione dei figli, la famiglia, l’assistenza dei familiari), in modo da offrire alle donne la possibilità di scegliere cosa fare nella loro vita. L’uguaglianza di genere è una questione di diritti umani che vanno rispettati”.
Una proposta che fa paura. Per verificare quali fosse la situazione nei diversi Stati membri, il Parlamento ha invitato i parlamenti nazionali a indicare le strategie messe in atto per favorire l’uguaglianza tra i sessi: “Ebbene, solo 4 assemblee su 27 hanno programmi ad hoc per le donne”. Una percentuale molto bassa, che certo non basta. “La Commissione europea ha avuto 12 presidenti – continua Angelilli -, neanche una donna; all’interno della Bce non c’è neanche una rappresentanza femminile. E ancora: nel Parlamento europeo di 29 presidenti, solo 2 sono state donne e i vicepresidenti, attualmente, sono 3 su 14. Per quanto riguarda, invece, la situazione della rappresentanza femminile all’interno dei cda, Reding ha fornito un dato preoccupante: nei consigli di amministrazione c’è in media una donna su 10 uomini”.
Occorre la collaborazione delle imprese. Reding, quindi, ha aperto un dibattito chiedendo la collaborazione delle imprese europee, chiedendo la disponibilità a mettere in pratica piani volti a facilitare la carriera femminile, ma la risposta è stata deludente. Da qui la proposta di creare una normativa che tuteli la presenza femminile ai vertici delle società. Il testo non esiste ancora, ma già ha scatenato la reazione di alcuni Paesi, che non vogliono questo tipo di interferenza. Con a capo l’Inghilterra, Romania, Olanda, Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Lettonia, Ungheria, Svezia, Lituania e Malta si oppongono a istituire quote dedicate alle donne. “Per fortuna c’è però un altro gruppo di nove Paesi – ha spiegato Angelilli- che si è unito in ‘cooperazione rafforzatà per andare avanti con un accordo e creare una direttiva, recepita all’interno di questi Stati”.
In Parlamento tante donne, ma non ai vertici. Analizzando l’intera composizione del personale, è vero che la maggioranza è rappresentata da donne (41,5% dei funzionari uomini, 58,5% donne), ma se analizziamo le singole cifre, la realtà è sbilanciata verso il basso: tra gli assistenti, il 58,5% è costituito da donne contro il 41,5%. Ai vertici, invece, la rappresentanza femminile si assottiglia: tra i capi unità il rapporto è tra il 74,5% e il 25,5% a favore degli uomini, tra i direttori gli uomini sono il 67,4%, le donne solo il 32,6%. Per non parlare dei direttori generali, che vedono la bilancia spostata pesantemente verso l’universo maschile (7 contro 4)”.
Vita privata e carriera, due mondi diversi. Dati che sintetizzano un panorama internazionale, specchio di quello che succede a livello dei singoli Stati. Il primo passo da fare, per Angelilli, è quello di individuare le cause della difficoltà ad arrivare al potere e le motivazioni che spingono molte donne, seppure in possesso della preparazione e delle qualità per poter ambire a posizioni di rilievo, a rinunciare anche a fare domanda per concorrere: “A un questionario sottoposto alle cittadine europee, la risposta più frequente, data dal 60% dei soggetti interrogati, è stata che a bloccare l’ascesa delle donne ai consigli di amministrazione e ad incarichi di presidenza è la difficoltà di conciliare la vita familiare con quella professionale, perché mancano le strutture che possano aiutare le donne nella vita quotidiana – ha detto ancora Angelilli-. Una situazione che può e deve cambiare, ma bisogna fare qualcosa e non solo parlare. Bisogna informare i cittadini e coinvolgerli in questo dibattito che riguarda tutti”. (PIERA MATTEUCCI, 03 ottobre 2012)
Quote rosa, senza donne decade la lista
Via libera in commissione in Senato
Il provvedimento è passato in aula con il consenso di Pd, Idv e Pdl. Alcuni esponenti Pdl non hanno partecipato alla votazione, altri – assieme ai leghisti – si sono astenuti. Nel testo anche norme per i mezzi d’informazione per la promozione delle pari opportunità nell’ambito della comunicazione politica
ROMA – Senza un numero sufficiente di donne, decade la lista. Arriva il via libera in commissione Affari Costituzionali del Senato alla proposta di legge sulle quote rosa per le elezioni comunali e provinciali. In base al ddl, che ora passerà all’aula di Palazzo Madama, le liste presentate per i Comuni sopra i 15mila abitanti che non garantiranno un’adeguata rappresentanza femminile, non saranno in regola e dovranno essere depennate. Il provvedimento è passato in aula con il voto favorevole di Pd, Idv e Pdl, anche se alcuni esponenti del Popolo della libertà non hanno partecipato alla votazione e uno si è astenuto. Astenuti anche i leghisti.
E non solo. Anche i mezzi di informazione “nell’ambito delle trasmissioni per la comunicazione politica, sono tenuti al rispetto dei principi dell’articolo 51 della Costituzione per la promozione delle pari opportunità”.
Il testo, frutto di un accordo accolto con soddisfazione dalle senatrici di tutti i gruppi, prevede che gli statuti comunali e provinciali debbano “garantire” e non più “promuovere” la parità di genere nelle giunte e negli organi collegiali del Comune e della Provincia nonché degli enti, aziende ed istituzioni che sono dipendenti da queste amministrazioni locali.
Questa modifiche, se confermate mercoledì dall’aula, comporteranno un nuovo passaggio del testo alla Camera.
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