Che l’Italia fosse rimasta ferma agli anni ’50 in quanto a parità di genere già lo sapevamo. Ad ogni modo non ci aspettavamo certo una sentenza del genere dalla Suprema Corte.
L’imputato in questione era stato accusato di ingiuria ai danni di un avvocato perché durante un’accesa discussione si era rivolto all’interlocutore con la frase “Non hai le palle”
In un primo momento il giudice del tribunale di Taranto aveva minimizzato il tutto, anche perché si trattava di una contesa familiare. La parte lesa si è quindi rivolta alla Cassazione, la quale ha accolto il ricorso annullando l’assoluzione.
Non è tanto il fatto che “se durante un’accesa discussione ci si rivolge al proprio interlocutore apostrofandolo con la frase “non hai le palle” si rischia una condanna per ingiuria e un conseguente risarcimento dei danni alla persona offesa” che colpisce ma le parole vergognosamente sessiste della pronuncia:
”A parte la volgarità dei termini utilizzati l’espressione ha una evidente e obiettiva valenza ingiuriosa, atteso che con essa si vuole insinuare non solo e non tanto la mancanza di virilità del destinatario, ma la sua debolezza di carattere, la mancanza di determinazione, di competenza e di coerenza, virtù che, a torto o a ragione, continuano ad essere individuate come connotative del genere maschile“.
Innanzitutto il fatto che la Cassazione abbia dato un valore del genere ad un modo di dire, “non avere le palle”, che è stato coniato decenni fa, connota una resistenza culturale profondamente sessista e misogina. E’ una locuzione usata spesso ancora oggi che esplicita la credenza secondo la quale sia solo l’uomo ad avere il coraggio e la forza d’animo, caratteristiche ovviamente rappresentati dagli attributi sessuali maschili. Anche se si è perso in parte il vero significato, rimane un costrutto odioso e di natura maschilista.
Inoltre la sentenza non condanna l’offesa in quanto tale ma la rapporta al concetto di virilità scalfita. Questo è assolutamente vergognoso, in quanto mette sul piedistallo quella concezione di virilità, dimensione astratta andatasi a creare negli anni, utilizzata per identificare il vero uomo. Sandro Bellassai nel suo libro “L’invenzione della virilità” tratta di questo argomento, esplicitando come questo termine sia stato per l’appunto “inventato” per proteggere la mascolinità tradizionale: dall’ultimo Ottocento il virilismo è stato un pilastro retorico delle culture nazionaliste, imperialiste, autoritarie e razziste. Nel tempo infatti è stata data una rilevanza politica della virilità ed è stata associata storicamente con i principi di gerarchia, forza e autorità. Un termine che denota quindi una profondo background maschilista e di prevaricazione. Sicuri quindi di voler difendere tale concetto?
La pronuncia sottolinea inoltre come la figura maschile sia stata offesa in quanto con “avere le palle” si denota quell’insieme di caratteristiche che solo il maschio possiederebbe, ovvero forza di carattere, determinazione, competenza, coerenza e virtù. Viene specificato che questi attributi sono connotativi del genere maschile secondo la cultura vigente quindi, che sia vero o meno all’atto pratico, l’offesa risulta pesantissima. Si potrebbe addirittura rischiare di essere messi al pari con un essere umano di sesso femminile, guarda un po’, una persona debole, priva di forza e di virtù positive.
Siamo sicuri che siano gli uomini ad essere così virtuosi qui in Italia? In un Paese dove una donna ogni tre giorni viene ammazzata in quanto tale e vi è un altissimo tasso di violenza?
Infine vogliamo dire a questi maschilisti il mazzo che le donne devono farsi per sopravvivere in questa società senza alcun sostegno da parte delle istituzioni, in una cultura patriarcale che le discrimina su tutti i fronti? La fatica che sta dietro al lavoro, alla famiglia, al ruolo di cura ancora considerato prerogativa femminile? Non è che sono proprio loro che dal loro piedistallo, sputando sentenze anacronistiche e misogine, strizzano l’occhio a questa vergognosa situazione italiana e al patriarcato?
Farsi strada in un mondo costruito ad hoc dall’uomo per l’uomo è forse mancanza di carattere? Tutte le lotte che quotidianamente facciamo per la parità di genere denotano forse una debolezza femminile? L’abnegazione a cui siamo costrette per via della conciliazione dei ruoli è forse mancanza di virtù? Il fatto che la percentuale di laureate ogni anno sia maggiore dei laureati, che i risultati scolastici femminili siano migliori di quelli maschili ma a parità di mansioni guadagniamo un terzo in meno e ci sono preclusi a priori i ruoli dirigenziali per via di preconcetti di genere è mancanza di competenza? E’ forse il fatto di farsi valere tutti i giorni come persone invece che come parti anatomiche su cui sbavare o angeli del focolare da segregare dietro ai fornelli, magari a suon di bastonate, a renderci meno virtuose?
Io questo lo chiamo piuttosto coraggio, il coraggio delle donne. Quello di svegliarsi tutti i giorni in un mondo che non è fatto a loro misura e lottare per cercare di cambiarlo in meglio!
Consiglierei alla Cassazione di rivedere certe concezioni sessiste e misogine che non fanno altro che avvalorare i precetti della cultura patriarcale, in cui purtroppo ancora viviamo, azzoppando tante battaglie e tanta fatica! (31 luglio 2012).
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