di Antonia Chimenti

Nell’intervista rilasciata da Melania Mazzucco in occasione della presentazione della versione inglese del suo libro c’è un’affermazione che ne richiama un’altra che, sorprendentemente, la completa.
La scrittrice afferma:
“E` difficile parlare di globalizzazione della cultura in quanto le traduzioni sono difficili e spesso non riflettono i veri contenuti. Finché parliamo di testi scritti in inglese per un pubblico anglofono va bene. Altrimenti no. Possiamo parlare di globalizzazione dei prodotti di consumo, ma per la cultura non è così.”
L’affermazione non può essere che condivisa in toto, non foss’altro per l’onestà intellettuale che vi si ravvisa. In fondo “tradurre è un po’ tradire”.
E mi viene in mente una bella osservazione fatta dal Professore Giovanni Caserta, in occasione della sua presentazione del libro “Da Dite a Dio con Dante” dei due autori italo-canadesi Vito ed Erik Di Trani:
“[…] a parte l’ovvia ragione che l’opera dantesca è alle origini della nostra storia nazionale, di Dante si avverte gran bisogno nei nostri tempi sempre più segnati dalla assenza di ideologie, quindi di valori o punti di riferimento. Qualcuno parla in termini preoccupati di relativismo trionfante. Ed è preoccupazione che potrebbe anche accettarsi, se non fosse che in essa è implicito il pericolo dell’assolutismo ideologico, cui si accompagna, non di rado, il rifiuto del pluralismo.”
In una realtà “multiculturale” come quella canadese la lotta contro l’assolutismo ideologico si fa anche attraverso il recupero della nostra lingua, nello specifico attraverso “un racconto che non è parafrasi del testo dantesco […]è, invece, un nuovo racconto del testo di Dante, fatto […] in modo nuovo e adatto ai tempi e al destinatario [gli italiani emigrati all’estero]”

Categorizzato in: