Revenge vuol dire vendetta e richiama l’idea di un rimedio ad un torto subito, invece si tratta di pornografia non consensuale. Ecco spiegate le ragioni
di Marianna Dolcetti
Tiziana, Emma, Paris, Giulia. Sono quattro donne profondamente diverse tra loro, ma con una cosa in comune: essere state vittima di atti di pornografia non consensuale.
Tiziana Cantone -probabilmente il caso italiano più eclatante – si è tolta la vita il 13 settembre 2016, dopo che i suoi video privati erano stati diffusi dall’ex fidanzato e che la rabbia e la violenza mediatica di migliaia di persone si erano abbattuti su di lei, umiliandola e screditandola.
Emma Holten è una ragazza danese di 28 anni. Quando aveva 20 anni le sono state rubate dal cellulare delle fotografie private che la ritraevano nuda e sono state condivise sul web. Dopo aver subito ogni tipo di molestia ed umiliazione a seguito della pubblicazione, Emma ha deciso di reagire positivamente e passare al contrattacco. Ha contattato la fotografa danese Cecilie Bødker per realizzare un servizio di foto che valorizzassero la sensualità e la bellezza del suo corpo nudo. Il titolo del servizio era “Consenso”.
Paris Hilton, la famosissima ereditiera americana è stata vittima di un atto di pornografia non consensuale quando, nel 2003, il suo ex fidanzato Rick Salomon condivise in rete un video dal titolo One night in Paris che li riprendeva mentre avevano rapporti sessuali.
Recentemente sono state diffuse fotografie private di Giulia Sarti, deputata del M5S e Presidente della Commissione di Giustizia dal giugno 2018. L’episodio ha messo subito in discussione la sua professionalità, come se aver fatto delle foto in déshabillé fosse un’automatica prova di incompetenza a svolgere bene il proprio lavoro.
Questi sono quattro casi di revenge porn, o più correttamente pornografia non consensuale.
E’ sbagliato parlare di revenge (tradotto vendetta). Vendetta significa: “Danno materiale o morale, di varia gravità (…), che viene inflitto privatamente ad altri in soddisfazione di offesa ricevuta o di danno patito” (Treccani). Secondo questa definizione, per poter parlare di revenge porn, la persona che diffonde il video o le foto agisce per soddisfare “un’offesa ricevuta o un danno patito”. Ma in caso di revenge porn, quale dovrebbe essere l’offesa ricevuta o il danno patito dagli uomini che diffondono questo materiale pornografico senza il consenso della vittima?
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