Silloge poetica di Letizia Lanza
commento di Francesca Santucci
Abituati alle disquisizioni di largo respiro di Letizia Lanza, dotta studiosa di civiltà antiche, da anni impegnata nell’indagine di filologia storico-femminile, ove dispiegare il pensiero in discettazioni varie, fra tesi, antitesi e sintesi, si resta inizialmente disorientati alla lettura delle sue composizioni poetiche, perché trattasi, appunto, di una sua insolita modalità di comunicazione (“balbettii poetici” li definisce, a torto), che, però, ora ha deciso di far conoscere, anche se solo a pochi (la sua silloge è, infatti, pubblicata in numero limitato di esemplari, e ciò dispiace perché ben più vasto pubblico meriterebbe).
E non stupisca se, dopo aver lungamente indagato sulle donne dell’antichità, e pubblicato importanti lavori sul tema, ma, in generale, sull’antico e suoi riflessi/influssi sul moderno, dopo un significativo percorso di vita e interiore, Letizia Lanza, abbia ora sentito l’esigenza di rivolgere l’attenzione verso se stessa, concentrandosi nell’atto poetico.
“Poesie soffocate”: così recita il titolo della silloge, articolata, come sempre nelle sue indagini, amando ricercare nel presente le tracce del passato (è solita dire che “il presente ha un cuore antico”) in due momenti temporali: “Martyrion”, le poesie di oggi, “Prequel”, le poesie di ieri.
Generate da momenti di autentico dolore, appartengono al presente composizioni fulminee, lapidarie, come “Never more”, “Dies irae”, “Afasia”; al momento passato composizioni altrettanto misurate, come ”Sole”, “Gioia”, “Filles de joie”.
Avendo un’educazione letteraria classica, approfondita, vivace, raffinata, il suo atto poetico si configura disciplinato, complesso ed elaborato, anche nel linguaggio ricercato, in cui ama con/fondere diversi idiomi (greco, latino, francese, inglese) ma, pur nell’acquisita maturità, non si rileva un grande scarto fra le composizioni di oggi e quelli di ieri, i versi sono comunque organizzati in periodi brevissimi, perfettamente conchiusi in se stessi, come se il pudore dei propri sentimenti volesse in qualche modo frenare l’espressione delle più intime emozioni, non concedendo ampi spazi, perciò le parole sono poche e preziose, sono parole scavate, scarne, sono spasimi, grumi di dolore, perché è il dolore che sottintende la sua poesia, perché è sempre il vario dolore a generare la poesia; e dove mai sarebbe possibile trovare conforto agli affanni se non nel verso che lenisce e che consola?
La Poesia, essa sola, è il naturale approdo dell’anima dolente, come per il marinaio che, dopo aver attraversato mille tempeste in mare, dopo essere stato squassato da mille bufere, forte sente il bisogno di riapprodare alla sua terra; similmente, dopo aver lungamente ed in profondità esplorato gli altrui tormenti, dilatandosi nelle esistenze delle vite delle mitiche figure femminili dell’antichità (Penelope, Elena, Medea, Semiramide, Cleopatra), prepotente Letizia Lanza ha avvertito l’urgenza di sondare ulteriormente un cuore di donna (stavolta il suo), ritornando a sé, concentrandosi nel luogo suo più intimo, se stessa, consegnandosi alla parola scritta, concedendo alla lettura di pochi, a noi, suoi estimatori ed amici, versi che mai indulgono al sentimentalismo, ma pure lasciano trapelare squarci della sua anima, versi essenziali, perché quando autentico e smisurato è l’affanno che lo genera il dolore non si urla, ma si tace, oppure lo si affida, asciutto, a pochi e con poche parole.
Sono nate, così, queste poesie, poesie soffocate perché lungamente il palpito poetico è rimasto costretto negli angusti spazi dell’interiorità.
(da “Martyrion”)
NEVER MORE
Non più
ludominitanti
frecce dorate
-gioia di luce-
appuntate oramai
a breve ricamo
di esistenza.
Inaridio nihilo
Di rigagnolo-
E di fiume immenso.
DIES IRAE
Sbalestrata mente
ondivaga
per echi di
lontananza.
Giovinezza di roseo
velluto,
spessa coltre
di affetti,
scintillio pulchro.
Infanda, inabissante
perdita.
AFASIA
Crepitanti singhiozzi
in solitudine
bruma.
Sillabe di vuoto,
incerto in auscultabile
bar-bar
del cuore.
(da “Prequel”)
SOLE
E torna la verde illusione
a figgere l’anima
di sole:
malfido addio
al lugubre
buio?
GIOIA
Sembra quasi un sorriso
questo giorno
che ormai cede alla sera
e il sole scende
alla montagna bruna
e il cuore ride
immerso in questa luce
per un momento breve.
come l’occaso.
(da “Marosia”)
FILLES DE JOIE
Donne
sulla strada-
fiori stanchi
gualciti.
Frantumo di vita.
Intatta purezza.
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