Eurostat, oltre un quarto degli italiani è a rischio povertà o esclusione sociale
Caritas: «Elemento inedito che stravolge il vecchio modello italiano». Più uguaglianza per tornare a crescere
Di Luca Aterini
Oggi è la Giornata internazionale per l’eradicazione della povertà, ma in Italia non si festeggia. Come certifica Eurostat, oltre un quarto della popolazione (il 28,7%) è a rischio povertà o esclusione sociale. In Europa solo Cipro, Lituania, Lettonia, Grecia, Romania e Bulgaria stanno peggio di noi. Guardando solo alla povertà assoluta – ovvero la forma più grave di indigenza, quella di chi non riesce ad accedere a quel paniere di beni e servizi necessari per una vita dignitosa –, sono 4,6 milioni in Italia a dovervi fare i conti tutti i giorni. Si tratta, evidenzia la Caritas nel suo Rapporto 2016 sulla povertà e l’esclusione sociale, presentato stamani, del «numero più alto dal 2005 ad oggi».
Come ormai consueto, le situazioni più difficili «sono quelle vissute dalle famiglie del Mezzogiorno, dalle famiglie con due o più figli minori, dalle famiglie di stranieri, dai nuclei il cui capofamiglia è in cerca di un’occupazione o operaio e dalle nuove generazioni». Proprio qui però, sottolineano dalla Caritas, risiede un dato di inquietante novità. «Un elemento inedito messo in luce nel rapporto e che stravolge il vecchio modello di povertà italiano è che oggi la povertà assoluta risulta inversamente proporzionale all’età, diminuisce all’aumentare di quest’ultima. La persistente crisi del lavoro ha infatti penalizzato (o meglio, sta ancora penalizzando) soprattutto giovani e giovanissimi in cerca “di una prima/nuova occupazione” e gli adulti rimasti senza un impiego».
Si tratta di un’inversione a U concretizzatasi in questi anni di infinita crisi. Nel 2007 il trend era infatti pressoché inverso rispetto ad oggi, con l’incidenza della povertà assoluta che «andava tendenzialmente a crescere all’aumentare dell’età, decretando gli over 65 come la categoria più svantaggiata». Oggi è il contrario. «Degli oltre 4,5 milioni di poveri totali, il 46,6% risulta under 34; in termini assoluti si tratta di 2 milioni 144 mila individui, dei quali 1 milione 131 mila minori». Mediamente, gli anziani hanno risposto meglio a questi anni di crisi, grazie alle tutele del sistema pensionistico come anche al bene “casa”, che per l’80% degli anziani è di proprietà. Al contrario, i giovani devono combattere con una crisi del lavoro che non arretra.
Già gli studi della Banca d’Italia avevano evidenziato come negli ultimi venti anni i divari di ricchezza tra giovani e anziani si fossero progressivamente ampliati, e il recente Rapporto McKinsey “Poorer thain their parents: a new perspective on income inequality” sottolineava che per la prima volta dal dopoguerra c’è il serio rischio che i figli «finiscano la loro vita più poveri dei loro padri». In questa corsa a passo di gambero è proprio l’Italia a distinguersi come «il paese in cui tale sconvolgimento generazionale è più prorompente».
A questi sconvolgimenti sociali se ne sommano poi altri di diversa natura, sotto forma di migrazioni che non si arresteranno di qui a qualche anno, indipendentemente dall’auspicata fine delle guerre che in parte le alimentano. «I vari effetti del riscaldamento globale (desertificazioni, siccità, scioglimento dei ghiacciai e crescita del livello del mare, eventi climatici estremi come inondazioni e uragani), sono – si legge nel rapporto Caritas – una drammatica realtà in sempre più aree e regioni del mondo. È evidente che le alterazioni degli ecosistemi, causate dal combinato disposto di azioni antropiche e cambiamenti climatici, hanno avuto e avranno in futuro effetti diretti e indiretti sulla società e sulle migrazioni».
Non a caso quest’anno la Caritas battezza il proprio rapporto “vasi comunicanti”. «L’immagine dei vasi comunicanti – spiegano – assume per noi un carattere ambivalente: aiuta a leggere il reale o meglio i nessi, frequentemente trascurati, che esistono oggi tra povertà, emergenze internazionali, guerre ed emigrazioni; al tempo stesso vuole essere l’auspicio per un futuro in cui le disuguaglianze socio-economiche, alla base dei movimenti migratori».
È sul terreno delle disuguaglianze in primis che si gioca la partita della sostenibilità, e non è possibile continuare a pontificare a livello globale senza riuscire a incidere sulla crescente povertà che dilaga in Italia, alimentando una crescente ingiustizia già prima dello scoppio della crisi: negli ultimi 20 anni la disuguaglianza in Italia è aumentata più che in ogni altra nazione Ocse e oggi -come evidenziato da ultimo nel rapporto Coop 2016– nel nostro Paese il 32% della ricchezza è detenuto dal 5% della popolazione. Con un andamento del Pil prossimo allo zero per cento è lecito continuare a chiedere una redistribuzione della ricchezza rimasta, che in ogni caso non è affatto poca? Dovremmo forse domandarci se e quando sarà possibile inseguire lo sviluppo sostenibile, quando è ormai la crescente disuguaglianza uno dei freni più potenti a qualsiasi tipo di crescita.
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