Mer, 11/02/2015 – 01:36
Avevo deciso di non dedicare spazio alla trasmissione di Rai 3 sulla scuola, che ai miei occhi ha avuto luci e ombre. Però, quando ieri ho ricevuto questa mail da parte della professoressa Cristiana Bullita, ho semplicemente cambiato idea.
Caro Tony,
ti scrivo per l’urgenza di esprimere alcune riflessioni in merito a “Presa diretta” di domenica scorsa, che questa volta Iacona ha dedicato alla scuola. Tra i molti fatti riferiti dagli inviati Macina e Stramentino, mi ha colpito un elemento apparentemente positivo, presentato infatti nella seconda parte della trasmissione, quella che nelle intenzioni degli autori doveva evidentemente essere la “pars construens”, dopo le impietose picconate in forma di numeri e immagini della prima mezz’ora.
Si tratta dell’attività della professoressa Dianora Bardi, insegnante di latino presso il Liceo Lussana di Bergamo, celebrata come pioniera della digitalizzazione in classe, nonché attivo agente promozionale del piano scuola renziano. La collega avrebbe il merito di aver portato i tablet e le piattaforme “open source” a scuola. Nell’intervista ha sostenuto più volte, con un sussiego da prima della classe malamente mascherato da francescana umiltà, che le risorse economiche non sono poi così importanti e che bastano un po’ di buona volontà e ingegno per promuovere meravigliose innovazioni didattiche, come quelle a lei attribuite.
Sennonché, a specifica domanda, la docente ha dovuto precisare che i tablet che in quel momento i suoi alunni stavano utilizzando compulsivamente davanti alla telecamera erano di proprietà degli alunni stessi, cioè se li erano portati da casa.
Quanta disonestà intellettuale occorre per vantare una didattica ad effetti speciali interamente realizzata con i soldi delle famiglie? La professoressa in questione gira l’Italia, è stato spiegato, per diffondere nella penisola il contagio virtuoso della sua straordinaria rivoluzione virtuale nell’insegnamento. Forse dirà ai docenti dove trovare la faccia di bronzo per chiedere ai genitori i finanziamenti che invece dovrebbero venire dallo Stato.
Al di là del linguaggio ormai francamente insopportabile che, intriso di conformismo cognitivista e d’idolatria tecnocratica, continua a proporre la didattica delle competenze e i nuovi strumenti digitali come fossero la panacea del problema educativo, gli elementi che più indispongono nel quadretto edificante che è stato presentato sono esattamente gli stessi che indispongono nell’atteggiamento dei nostri politici che parlano di scuola: faciloneria e mancanza di spessore teoretico (il quale, ad esempio, imporrebbe una seria riflessione sulla validità e sulla stabilità degli apprendimenti ottenuti a mezzo di tecnologie multimediali e di Internet). Ma, soprattutto, caparbia e intollerabile malafede.
Cristiana Bullita
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