(racconto Bonsai, pubblicato su L’ OBIETTIVO, dicembre 2011)
Sono venuta di corsa, ma resto cinque minuti appena.
Non voglio che mi vedano qui. E non è per te, lo sai bene. Soltanto poi mi cercherebbero per fare domande, avere informazioni, particolari, pettegolezzi. Qualunque cosa andrebbe bene in questo momento, pur di titolare la pagina del giornale con un nuovo “elemento”. Dicono così, “un nuovo elemento”, anche quando si tratta della tua marca di sigarette preferita o delle amicizie infantili.
Ah Antonio mio, questa volta l’hai fatta grossa. Io alle tue scappatelle ormai ci ero abituata e chiudevo un occhio, ma a questo come mi ci abituo?
Quante volte mi hai ripetuto: “non ti preoccupare Rosalba, a te ci penso io, stai tranquilla, andrà tutto bene”.
Ti ho creduto Antonio, giuro che ti ho creduto. E invece guarda qui: chi mi proteggerà adesso? E la mamma, e tuo padre? Sono giorni che non escono di casa. Se ne stanno rinchiusi come topi in trappola, con le persiane accostate, al buio. Bisbigliano persino, e se qualcuno nomina il tuo nome mamma scappa in camera con un grido e non ne esce per ore.
Ma era proprio necessario mi chiedo? Non ti ho mai cercato palazzi e gioielli e mi andavi bene così, anche senza motoscafo e senza quell’automobile enorme, che mi indicavi ad ogni occasione. Che te ne fai adesso di una macchina, me lo spieghi?
“Diventerò qualcuno,” dicevi e avevi proprio ragione. Ora sì che sei famoso. Da una settimana vedo la tua foto sul giornale e alla televisione. Ti conoscono tutti ormai e al bar o dal panettiere li sento dire: “meno male!”. E poi, abbassando la voce: “occhio per occhio, dente per dente.” Loro pensano all’uomo nel negozio, è naturale. Dicono che era il padre di quattro figli, ancora bambini. Povero diavolo. E chissà sua moglie. Io quasi quasi non ci credo che sei stato tu, perché non ti ci vedo proprio in quel modo. Con me neppure alzavi la voce! E poi magari si sbagliano, è già capitato. Magari è stato quell’altro, il tuo amico. Quello sì che aveva una brutta faccia. Io non l’ho letto il giornale, perché non voglio più saperne niente, però magari l’altro neppure ce l’aveva una donna, una fidanzata o una madre e così viveva come uno sbandato. Chi lo sa. Può darsi anche che è stato lui quello che ha perso la testa, che si è spaventato e che poi ha fatto quel che ha fatto, contro quel pover’uomo. Però ci sei andato di mezzo tu. Dev’essere stato così, lo sento, perché non ti ci vedo davvero prendere un’arma in mano per usarla contro un innocente. Che poi cosa ci hai guadagnato? Un mazzo di fiori già appassiti e la foto in prima pagina. Ma era questo che volevi? Solo questo per me e per te? Se penso che dicevi sempre: “Rosalba non avere paura, andrà tutto bene, ci penso io a te.”
Ed eri sincero, non ci si può sbagliare su certe cose.
Eri sincero senz’altro.
Alina Rizzi
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