Proviamo a cambiare le parole
e anziché clandestino, immigrato
e straniero ed extracomunitario
diciamo Mohamed e Alina e Ivan
e Irina e Omar e Igiaba.
Poi facciamo scorrere
dinanzi agli occhi luoghi e storie
e fughe e speranze ed amori
e risa e pianto e dolori. La storia
di un uomo che nel buio incerto
del mattino pedala e va al cantiere,
il sorriso della donna che consuma
il suo veloce pasto nell’attesa
dell’autobus. Fatti di gente
e gente fatta di voce e
di occhi e di carne e di pensieri.
Poi torniamo
indietro negli anni quando erano
grigie e rare le foto e lì incontreremo
Rocco e Rosa e Luigi e Maria col fardello
dei figli, stretti al baule per il viaggio,
commossi e assai tremanti
al pensiero dell’incontro con lingue
sconosciute, con ignote
geografie. Paure da poveri e coraggio.
Poi guardiamo
nello specchio di casa il nostro volto,
figura d’altri volti antichi e nuovi,
volti sconosciuti – chi sa i nomi ed i luoghi
di qualcuno che risalga oltre i bisnonni? –
e lo vedremo figlio
di gente ignota e venuta da lontano:
antenati
a ciascuno comuni e clandestini
ci scorrono nel corpo, dentro il sangue.

Eleonora Bellini

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