Tre anni fa il sacrificio di Paola Clemente, la bracciante di San Giorgio Jonico morta di fatica. Fai Cisl: una tragedia che resta un monito, si garantisca dignità a tutti
Di Nicola Lavacca
In Puglia chi lavora nei campi spesso è costretto a sottostare alla “legge” dei caporali. Sfruttamento e illegalità fanno parte ancora oggi di un sommerso dove non c’è rispetto e dignità per le persone, soprattutto donne e migranti, che operano in condizioni al limite dello stremo. E c’è chi a volte paga con la propria vita, com’è accaduto il 13 luglio di tre anni fa a Paola Clemente, la 49enne bracciante di San Giorgio Jonico morta di fatica dopo un infarto mentre era dedita all’acinellatura dell’uva sotto un tendone, con un caldo asfissiante, nella campagne di Andria. «La Fai Cisl e tutta la Cisl vogliono ricordarla con emozione e affetto – dice Paolo Frascella, segretario generale Fai Cisl Puglia –. Una tragedia che ha colpito l’intero Paese e che deve essere un monito per tutti affinché condizioni di lavoro dignitose siano la normalità». Paola Clemente è diventata l’emblema della lotta al caporalato che ha poi prodotto la legge 199 del 29 ottobre 2016, tornata in discussione recentemente da parte del nuovo governo che vorrebbe apportare delle modifiche. Il territorio agricolo pugliese è la terra dei diritti negati e violati, una situazione che si ripresenta soprattutto in estate durante la raccolta di pomodori, uva, cocomeri e ortaggi. È impressionante in questa Regione la quota femminile di sfruttamento: il rapporto tra donne e uomini è addirittura di 3 a 1. Vengono pagate 3-4 euro l’ora e costrette a turni massacranti di 12 ore.
Più del 60% dei nuovi schiavi costretti a lavorare sotto caporale non ha accesso ai servizi igienici e all’acqua corrente. Venticinque euro la paga media per 15 ore continuative di lavoro. Poi ci sono i taglieggiamenti da parte da parte degli stessi caporali, che spesso negano i pagamenti, aggrediscono e derubano i lavoratori, e impongono il pagamento dei consumi e di tutti i trasporti. «Un mercato infame, che va a riempire le tasche delle agromafie -sostiene Frascella-. È un problema di natura culturale. Iniziamo ad affrontarlo garantendo ad esempio ai lavoratori stagionali dei trasporti organizzati per raggiungere i campi». La Capitanata è il territorio dove si registrano i numeri più impressionanti. Da un monitoraggio della Puglia “agricola” emerge che gli operai agricoli dipendenti si aggiravano, a fine 2017, intorno a quota 185mila: solo 2.742 hanno contratti a tempo indeterminato. Gli altri sono tutti con contratti stagionali, il più delle volte sottopagati e in nero.
Non è un caso che la concentrazione dei cosiddetti ghetti sia più evidente nella Capitanata (Rignano, Borgo Mezzanone, il cosiddetto ‘ghetto dei bulgari’). «Grazie alle continue sollecitazioni dei sindacati di categoria -aggiunge Frascella- è stato sottoscritto un protocollo sperimentale contro il caporalato, unico nel suo genere tra la Regione Puglia, la Prefettura e la Questura di Foggia, le parti sociali e le associazioni del terzo settore. Non basta neppure l’avvenuto “sgombero umanitario” del ghetto di Rignano: attendiamo ancora risultati e risposte concrete, soprattutto in termini di coinvolgimento delle parti sociali, nelle scelte da operare e da rendere strutturali, definitive e operative». Anche nel territorio di Taranto la Regione ha annunciato degli impegni che al momento non hanno trovato attuazione. Quanto alla legge 199, ha portato o no risultati concreti nella lotta al caporalato?
«Per noi si è trattato di un traguardo storico -risponde la Fai Cisl- a favore di chi per troppo tempo ha visto i propri diritti, pure quelli umani, calpestati da gente senza scrupoli. Gli arresti di questi anni dimostrano che la legge funziona sul versante penale, mentre bisogna insistere nella necessaria battaglia di prevenzione. La rete del lavoro di qualità non è decollata e la cabina di regia dà molto la sensazione di essere una scatola vuota, priva com’è di declinazioni territoriali».
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