Oggi sui giornali, nella Tv, sono apparsi titoli del sapore:

A Caltanisetta l’ultimo posto

Non sono di Caltanissetta, vivo a Catania. La città del buco finanziario, dei grandi progetti di ristrutturazione, come Villa bellini, le ferrovie sotterranee da attuare in luoghi architettonici, che una volta distrutti, sono irrepetibili. Chi ha creato il disastro del buco, chi ha caldeggiato i rimaneggiamenti architettonici, è intimo amico dell’attuale governo. Sarà bravo biologo, ma di fisica e strutture architettoniche, della bellezza artistica funzionale di un progetto, non capisce dove sta di casa. Basta guardare lo spazio antistante il Teatro Massimo Bellini.
Il richiamo è pertinente per Caltanissetta.
Chi ha distrutto l’agricoltura della microeconomia di quelle zone e del resto dell’isola? Gli stessi che oggi, con linguaggio subdolo, dato per luminoso, denigrano una città che ancora ha i suoi valori, la sua cultura, sufficiente a disprezzare l’incultura che serpeggia tra i banchi di scuola del nostro nord.
I ragazzi lavorano, amano il denaro, non i libri. Sono intelligenti, disprezzano gli accattoni, sono d’accordo a multarli. Auguriamo loro che le industrie, dal profumato odore del Colosso di Rodi, non si dissolvano, che non cadano mai nella disoccupazione fino all’accattonaggio.
Siamo giramondo, sappiamo dove ancora ristagna un minimo d’amore per la lettura, l’ascolto della musica, dai valori armonici eccellenti, l’amore e la cura per l’arte, il senso profondo del libero pensiero.
Non si fanno certe ricerche dannose per una città, se non se ne illustrano i motivi, le radici, le cause, le colpe politiche, se non si definisco i valori rimasti dopo le depredazioni economiche, attuate da un libertinaggio di mercato, che ha ucciso l’Africa, continua a desertificarla, a spingere la popolazione a fuggire dalle mani di dittatori protetti da guerrafondai mondiali, da costruttori di armi, paurosi che il riscatto del continente africano possa sommergere i mercati europei con le sue immense produzioni agricole, se si dovesse risvegliare. Auguriamo all’Africa che altri mille bi-laureati ritornino nei vari stati a fare i governatori saggi.
Questa paura ha ucciso Caltanissetta e la Sicilia. Questa paura ha impedito la costruzione di dighe sul Tigri e l’Eufrate negli anni ’60, le produzioni di ortaggi e dei frutteti avrebbero fatto impallidire le produzioni d’Israele. I terreni nel 1962 intorno alle nascenti dighe si compravano a 2 £ il metro quadrato. La paura della concorrenza economica ha impedito di costruire a Bagdad una grande città frigorifero, con maestranze di Catania, che avrebbe raccolto pure la frutta, pregiata per i microelementi immessi nei terreni dal vulcano, dei boschi dell’Etna, della valle del Simeto. La famigerata guerra Iran – Iraq, (lo sa la Banca Nazionale del Lavoro di Atalanta, da chi pagata), ha fatto fuggire gli ingegneri trovatisi sotto i bombardamenti dei due contendenti, sovvenzionati dalla stessa sorgente, divisa in due parti.
Se non dobbiamo credere a queste guerre economiche di mercato, tanto vale instaurare la dittatura manifesta. La dittatura addolcita non convince più nessuno. Una riflessione non è possibile ontestarci, tutte le dittature hanno gettato nella miseria i popoli, impoverito i grandi sistemi industriali, ad eccezioni dei magnati produttori di armi.
Caltanissetta è una città bellissima, bisogna saperla visitare. Anche il visitare i luoghi richiede sensibilità eccezionale, difficilmente contestabile al siciliano di media cultura. Quello che emana fascino culturale mette a tacere le mezze figure del sapere.
Chiudo con una frase di Pessoa: “Il mondo è di chi non sente. La condizione essenziale per essere un uomo è la mancanza di sensibilità”.
Definisce in modo perfetto il mondo in cui i politici ci stanno costringendo a vivere.

Salvatore Emmanuele
30 dicembre 2008

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