di Cristiana Bullita
«La storia segreta dell’infanzia di tutti è fatta appunto dei sussulti e degli strappi che ci hanno sradicati dal reale».
(C. Pavese, Feria d’agosto , Mal di mestiere)
Eravamo «piccoli bruti inconsapevoli, il reale ci accoglieva come accoglie semi e pietre», e tra i semi e le pietre razzolavamo insieme, allegri e chiassosi. Capitava poi, all’improvviso, che una slavina tagliasse una fetta consistente del paesaggio quotidiano di qualcuno di noi: quella mamma restava lunghi e misteriosi mesi in ospedale; quel papà perdeva il lavoro, sprofondava nella depressione e in poltrona a fumare, con la rabbia negli occhi e la bestemmia a fil di labbra; quella Fiat 850 veniva un bel giorno caricata all’inverosimile e via…verso il Nord, mentre occhi riluttanti dai finestrini opachi sbuffavano un faticoso addio agli amici, ai giochi, ai semi, alle pietre.
Era proprio allora che la realtà quotidiana, calda, consolante, sicura, franava sotto i nostri piedi bambini e l’innocenza evaporava insieme a ciò che fino a quel momento aveva puntellato la nostra esperienza del mondo. L’inevitabile ci colpiva con una zampata ferina, per la prima volta, noi che avevamo sempre potuto scegliere tra la Fiesta e la Brioss, tra la Bianchi e la Graziella, se andare a scuola o restare al tepore della coperta di nonna.
La nostra infanzia è andata così, strattonata da tutte le parti da emergenze prepotenti e infide, come solo certe emergenze sanno essere. Ma l’infanzia di tutti è fatta anche, parafrasando Pavese, dei sussulti e degli strappi che ci hanno sradicati dal fantastico. La scoperta che Babbo Natale non esiste, ad esempio.
Quando il pensiero magico cede -ma mai completamente- al pensiero razionale, qualcosa si perde e qualcosa si guadagna. L’idea di un uomo anziano con una folta barba bianca che, su una slitta trainata da renne volanti, attraversa in una sola notte i cieli di tutto il mondo per portare ai bimbi i doni richiesti con apposita fiduciosa letterina suggerisce una forma innegabile di ottimismo metafisico: la realtà è prevedibile, controllabile, giusta e non lascia spazio ad angoscia e insicurezze. Che bello poter pensare: “Babbo Natale è una persona magica”, mentre attraversavo il cancello della mia scuola elementare: quell’idea rappresenta ancora oggi uno dei ricordi più nitidi della mia infanzia.
Tuttavia il pensiero ipotetico-deduttivo costituisce il naturale approdo di una mente che segue un’ordinaria evoluzione: si impara a formulare ipotesi sulla realtà che poi si verificano attraverso eventi collocati su un binario spazio-temporale, avvalendosi di operazioni logico-matematiche. Ciononostante permane in noi la tendenza a mettere in atto rituali propiziatori o a fare scelte che ignorano il calcolo delle probabilità e unicamente orientate a un principio di piacere, a un wishful thinking.
Sono questi i residui di un pensiero magico che ha ormai perso tutta la poesia dell’infanzia.
Eppure, come ogni 24 dicembre, schiacceremo il naso sui vetri appannati e, se il cielo sarà limpido, intorno alla mezzanotte, indugeremo tra le stelle con ansia puerile. E, ancora una volta, aspetteremo.
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