di Delia De Santis
deliadesantis@yahoo.com
traduzioni di Egidio Marchese (seguono le versioni originali)

Delia De Santis è nata in Italia nel Lazio, ed immigrò in Canada con la famiglia quando aveva tredici anni. La sua narrativa è stata pubblicata in riviste in Canada, Inghilterra, Italia e gli Stati Uniti, e pure in diverse antologie, inclusa “The Anthology of Italian Canadian Writing” (Guernica, 1998), “Pillars of Lace” (Guernica, 1998), “In all directions” (Canadian Authors Association and Fitzhenry & Whiteside), “The Many Faces of Woman” (River City Press, 2001). Delia ha vinto premi letterari ed è co-curatrice di due antologie: “Sweet Lemons: Writings with a Sicilian Accent” (Legas, 2004) e “Writing Beyond History: An Anthology of Prose and Poetry” (Cusmano 2006). Fa parte della “Canadian Authors Association” ed è membro esecutivo della “Association of Italian Canadian Writers.” Ha due figli grandi e vive col marito a Bright’s Grove, in Ontario.

Before The Roses Fade (Prima che le Rose Appassiscano) / A Place I Once Knew (Un posto che una volta conoscevo) / The Last Time (L’ultima Volta) è un racconto inedito / Dinner for Three (Pranzo per Tre) è stato pubblicato in “Pillar of Lace. The Anthology of Italian-Canadian Women Writers” (a cura di Marisa De Franceschi. Toronto: Guernica, 1998, pp. 100-03,) e nella traduzione italiana di Gabriella Jacobucci in Il PONTE (mensile di informazioni cultura politica , Anno XIII n 12 – Dicembre 2001).

Prima che le rose appassiscano

Dopo aver dato il bacio della buona notte alla sua bambina nella culla, Leda sollevò i suoi lunghi capelli neri indietro sulle spalle. Sam avvolse le braccia attorno alla sua vita. “Non è male la nostra bambina,” ghignò. “Un giorno sarà una bellezza di regina!” Leda rise e gli aggiustò la cravatta. Era una persona ordinaria, nell’aspetto e nei modi, ma lei lo amava.
Tutto era a posto. Lui andò a prendere la babysitter. Lei incartò il regalo, scrisse poche parole sul biglietto e firmò.
Il traffico era intenso e arrivarono al club quasi in ritardo. Un giovane in smoking grigio si affrettò a condurli al loro posto, non lontano dalla tavola d’onore. Era una cena con molte portate… vitello, quaglie, pretenziose bevande, frutta esotica. Erano presenti uomini politici e dignitari.
Subito l’orchestra cominciò a suonare per il ballo della vecchia coppia. La gente era in piedi e applaudiva. La vecchia signora aveva scordato i passi del tango lento… era una mole senza vita, gravata da una lunga veste nera con lustrini. Il suo agile partner era gentile con lei, ma dopo pochi giri con tatto la ricondusse al loro posto d’onore, dietro una enorme torta decorata in oro.
“Povera anima,” mormorò Leda distrattamente.
Poco dopo, Sam notò il nervosismo della moglie e la portò a ballare, per poter parlare senza essere uditi dalle altre persone a tavola. “Che succede?” domandò. “Perché la gente ci fissa?”
“Tony… il loro figlio,” lei bisbigliò, “non ha mai smesso di guardarmi per tutta la cena. Non l’hai notato?
“Oh, è tutto qui?” egli rise. “Credo che mi stia abituando a vedere la gente che ti guarda. Sei la donna più bella qui stasera.”
“Sam, non è divertente.”
Aggrottando le ciglia, egli l’attrasse più vicino a sé. “Lo so. Ma non fare una storia di questo… Pretendi che non sia successo niente.”
“Non capisco. Comunque, perché non ce ne andiamo via di qui, Sammy. Non mi sento ad agio a rimanere.”
Egli non disse nulla fino al loro prossimo ballo. “Non possiamo far questo. Non possiamo ancora andar via… sarebbe un’offesa… Tu non hai vissuto qui abbastanza, perciò non sai. Queste persone… sono quelle con i soldi dietro la ditta per cui lavoro… e dietro a quasi ogni impresa qui attorno. Posseggono questa città, Leda. Nessuno mai manca di riguardo alla famiglia Argentini.”
“Cosa stai cercando di dirmi?”
Le luci si abbassarono. Continuarono a ballare. Con la coda degli occhi lei scorse diversi uomini andare su dal vecchio uomo e baciargli la mano. Il figlio stava a fianco del padre, tranquillo a quel rito.
Leda notò che Tony Argentini rideva raramente. Era alto, di un aspetto scuro e i capelli neri lisci che cominciavano ad assottigliarsi sulla fronte. Era studente di legge e a detta della gente era brillante.
Ballando davanti al tavolo d’onore, per un momento ebbe un senso di vertigine. Sam subito la sostenne. “Maledizione,” disse, ma non a lei.
“Va bene, ho solo ballato troppo. Torniamo al nostro tavolo.”
Alle undici si alzarono e andarono ad accomiatarsi dai loro ospiti.
“Così presto?” mormorò il vecchio uomo.
“La nostra babysitter è giovane e dobbiamo ricondurla a casa prima di mezzanotte,” Sam spiegò. “Veramente dobbiamo andare, Signor Argentini.”
Egli assentì e disse ancora, mormorando con voce soffice. “È stato gentile da parte sua a venire, Sammy Malito. Eh… Lei giocava con i bambini di mia sorella quando era piccolo, ricorda? Bravo ragazzo… bravo.”
Rimossa indietro, tra il marito e il figlio, la Signora Argentini era allungata su una sedia, con le grosse caviglie incrociate. Si era addormentata.
“Ho sentito che avete una piccola bambina,” disse il figlio, gli occhi neri fissi su quelli di Leda. “I migliori auguri, Signora…” Poi s’inchinò e baciò la sua mano.
Appena furono fuori, Sam prese una sigaretta. L’accese, le mani gli tremavano tanto che dovette usare due fiammiferi. “Il bastardo. Pretendeva ch’io non ci fossi neanche. Il bastardo.”
“Sammy,” lei disse, posando la mano sul suo ginocchio mentre guidava, “Solamente dimentica questa sera, fa’ come se non sia successo niente. Pensiamo solo a noi… e alla nostra bella piccola bambina. Non ti pare che sia perfetta? Siamo tanto fortunati!”
“Lo so,” lui disse, guardandola. “ Penso a lei continuamente. E come non posso pensare a lei… il sangue del mio proprio sangue? Leda, promettemi che farai che non succeda mai niente alla nostra bambina…”
“Ora che razza di discorso è questo, Sam…”
“Un discorso folle. Ma, Leda, tu non sai che pensieri passano per la mia testa proprio adesso. So cose che tu non sai…”
“Che cosa, Sam?”
Egli respirò profondamente. “Accadde molti anni fa… Mio padre aveva un’impresa… un panificio – un affare legittimo. Poi quella maledetta gente venne in città – gli Argentini. Vennero Dio solo sa da dove… Ad ogni modo, il Babbo era un uomo orgoglioso… testardo. Volevano che lui facesse delle cose che non erano giuste, ma lui rifiutò. Non cedette mai a loro. Mai. Mia madre teneva una veste nera nel ripostiglio sempre… e noi sapevamo il perché.”
“Oh Sam. Ma perché non mi hai detto nulla di questo prima?”
Lui non rispose subito. “Non è una cosa che si va a raccontare in giro, Leda, perché non ne puoi parlare, pretendi di dimenticare.”
Lei riflettè per un momento. “Ma… non è successo nulla a tuo padre…”
“Già, questa è la parte ironica,” disse, mentre giravano nel passo carrabile. “Il babbo morì di vecchiaia.”
“Beh, vedi, Sam… tu lasci correre la tua mente davanti a te, ecco tutto.”
“Egli stava per aprire la porta della macchina, ma si fermò e le sorrise per la seconda volta. “Forse hai ragione, Leda. Forse hai ragione.”
Ma poi, mentre tornava in macchina, dopo aver condotto la babysitter a casa, andò diritto alla credenza e si versò da bere. Poi rimase per lungo tempo a fissare il bicchiere vuoto. “Leda,” disse infine. “Penso di essere stato seguito.”
Lei lo rimproverò tutt’in fretta. “Oh, caro, è così facile diventare paranoici su fatti come questi. Dimentica tutto, per favore.”
Ma nessuno dei due poteva dimenticare, e quella notte le lenzuola del loro letto rimasero fredde. Cominciò il loro silenzio… quasi un reciproco distacco. Ciascuno pieno di un tremendo terrore che qualcosa di vago e orribile accadesse.
Il giorno dopo era domenica e per la prima volta da quand’erano sposati non andarono alla Messa. A cena rimase nel piatto metà del cibo intatto, e dopo Leda giocò con Tania più del solito, eccitando troppo la bambina. Sam aveva ascoltato tutto il giorno l’opera. Lei odiava l’opera, le dava il mal di testa. Finalmente, verso le nove di sera, lo stereo tacque e poco dopo Sam si addormentò sul divano.
“Grazie a Dio,” mormorò Leda, con le dita delle due mani premute sulle tempie.
In fretta mise in moto la lavastoviglie e finì di pulire la cucina. Poi, dopo aver osservato per un minuto la bambina che dormiva, prese due aspirine e andò a letto.
Verso l’una di notte improvvisamente si svegliò e s’accorse che il marito non era ancora a letto. Accese svelta la luce, s’infilò la vestaglia e andò giù a controllare.
Lo trovò dove l’aveva lasciato. Stranamente, però, non si era mosso per niente. Il suo braccio pendeva ancora dall’orlo del divano, la mano piatta sul pavimento. C’era qualcosa che non andava?
Il cuore di Leda cominciò a palpitare, fu invasa dal panico. Cominciò a scuoterlo e a chiamarlo per nome. “Sam – Sammy… Sveglia! Sam!”
Egli sollevò la testa e la guardò truce. “Cristo! Che diavolo!… che cazzo vuoi?”
Tremando lei cominciò a indietreggiare – lui non le aveva mai parlato in quel modo prima. “Scusa… ho pensato… non sapevo – scusa.”
La sera dopo, mentre cercava un paio di guanti nel ripostiglio del corridoio, Leda scoprì una bottiglia di brandy nascosta nella mensola tra alcuni vecchi maglioni. La bottiglia era mezza vuota.
“Oh, mio Dio, che accade? Che sta succedendo?” mormorò stordita. Sam venne dietro a lei. Arrabbiato le strappò la bottiglia di mano. “Zitta, Leda,” disse. “Sta’ zitta, ora. Non osare dire una parola.”
L’infante piagnucolò nell’altra stanza, e Leda si affrettò a prender la piccina in braccio. “Oh, angelo mio,” disse, soffocando la bambina di baci. “Angelo…”
Dopo ciò, sembrò che a Sam non importasse più se Leda sapesse o no che lui beveva. La notte andava a letto sempre ubriaco, e la mattina si versava il brandy nel caffè fino a riempire la tazza all’orlo.
I nervi di Leda erano tanto deteriorati che scarsamente poteva ancora andare fuori… e quando il telefono squillava lei saltava, anche se suo marito era a casa sano e salvo, e la bambina era rannicchiata stretta nelle sue braccia.
Leda aveva perduto più di trenta libbre quando accadde il fatto. Sam era un’ombra d’uomo nella bara… Era stato benvoluto nel paese e molta gente venne a riverirlo. C’era una lunga fila fino alla sua cassa.
Amici baciarono Leda leggermente su tutt’e due le guance, conoscenti le strinsero la mano.
Delle persone bisbigliavano fra loro: “Così tragico. Nessuna sicurezza nella costruzione… nessuna sicurezza affatto.”
Per tre settimane sua madre venne ad accudire alla piccola Tania. Poi un giorno la donna s’infilò il cappotto e carezzò i capelli della figlia. “La bambina adesso è sotto la tua responsabilità,” disse angosciata. “Per me è venuto il tempo di lasciarti.”
Lentamente Leda ricominciò il suo consueto lavoro. Abbracciava la figlia quando occorreva… e presto la tenerezza aprì nuovamente il suo cuore.
Una mattina, poche settimane dopo, suonò il campanello della porta di casa. Era il fioraio. Leda pose la lunga scatola sul tavolo e lentamente l’aprì. Contò dodici rose rosse. Il bigliettino incluso diceva: Tardive condoglianze… Tony Argentini.
Nella stanza di Tania, Leda si piegò sopra la culla e rimase a guardare a lungo la sua bambina che dormiva. Le prese la piccola mano… così leggera e paffutella, calda. Due lacrime scorsero giù dagli occhi di Leda e rotolarono nella bianca coperta della bambina. Doveva mettere le rose in un vaso prima che appassissero.

*** *** *** *** *** ***

Un posto che una volta conoscevo

La chiesa sorge di fronte al fiume. Più sotto, si può vedere la fabbrica con le alte ciminiere. Partecipiamo a una speciale celebrazione, il settantacinquesimo anniversario della chiesa. Quando finirà la Messa ci uniremo alla gente a fare i soliti quattro passi presso il fiume. È una veduta pastorale, eccetto per le ciminiere.
Guardo indietro, neanche un banco è vuoto. Il prete si fa strada verso l’altare e tutti sono in piedi. Ma io sono troppo stanca per alzarmi. Non posso sentire, ma so che ognuno canta. Conosco questa gente, sono persone che partecipano completamente alla funzione.
Ma, benché non possa sentire, posso vedere. Posso vedere tutto intorno a me, e posso vedere anche in altri posti. A volte posso vedere meglio quello che succede in altri luoghi che dove sono.
Proprio allora qualcuno mi tocca gentilmente sulla spalla. Mi volto a guardare.
“Stanca? La donna mi chiede.
Leggendo sulle sue labbra, posso dire che c’è gentilezza nella sua voce. È una donna più anziana, qualcuno che ho conosciuto tutta la mia vita. Debbo essere connessa a lei in qualche modo – sono connessa a molta gente in questo paese. Ma non posso ricordare chi sia.
Educatamente faccio un cenno di saluto.
“Beh, allora riposi. Ne ha bisogno.”
Sono brava gente, tutti. Non offenderebbero mai i miei sentimenti – sanno che sono vecchia e lavoro lunghe ore, facendo giocattoli di legno per bambini bisognosi. Sanno pure che non manco mai alla Messa; sono una buona persona. Sono come loro. Mi lasceranno rimanere seduta; mi permetteranno questa piccola infrazione, anche durante la consacrazione, quando ognuno deve stare in ginocchio.
Oggi sono più stanca del solito. Ma ho una buona ragione di esserlo – ho viaggiato per molte miglia per arrivare qui. Ed è quando sono in uno stato di maggiore stanchezza che posso vedere meglio che mai. Posso vedere lontano e al di là… Posso essere qui e non essere qui. Posso essere vista e non vedere. Posso essere Peppe il Falegname, che visse e morì qui… o posso essere una piccola forza nel vento.
Le ciminiere emanano qualcosa. Cosa? Come del vapore. Una lenta emanazione, fumi che si disperdono facilmente. Poi ciminiere nuovamente d’aspetto pulito. Ma il fiume è qualcosa a cui guardare, su cui tenere un occhio. Il rigonfiamento.
È un innalzarsi lento. Eppure inquietante. Il fiume.
Lascio il banco della chiesa, passando davanti la gente seduta accanto a me. Vado giù per la corsia verso la navata e le alte porte di legno.
Sono fuori presso il fiume adesso. Guardo. Debbo guardare.
Le acque sono calme, ma già s’innalzano. Si solleveranno fino alla cima? Vedo il tenue flusso dalle ciminiere, pure. Ma l’aria è pulita, bianca. Le ciminiere sono bianche, pitturate così pulite.
Ma guarda l’acqua, l’acqua. Guarda il livello. Guarda come s’innalza velocemente adesso.
Improvvisamente sono di nuovo nella chiesa. Sono ali leggere che sfiorano gli occhi, muovendosi rapidamente qui e là, nell’aria… attraverso la congregazione, svolazzando… svolazzando. Ammonendo tutti.
Ma le persone sorridono fra di loro e mi cacciano via. Mani, dita. Ch’ è stato? Ch’ è stato? Pensieri vaghi che non si trasformeranno mai in parole. Così completa è la concentrazione nei loro riti.
Mi sto preoccupando davvero adesso. L’acqua. Le pure ciminiere bianche. L’affollamento della chiesa… Mi affretto nel vestibolo di dietro, dove si conservano le cose.
Trovo il campanello, e benché sia piccolo, tuttavia per me è difficile sollevarlo. Ma mi sforzo. Si deve far suonare il campanello e mettere la gente in guardia.
Ecco. Don, don, don.
Ma il suono non è forte abbastanza. È un suono che non trasporta; un suono che non va avanti. Non porterà distrazione alle Parole Sante.
All’improvviso le mie orecchie sorde si aprono al canto delle persone, e mentre le loro voci si innalzano in bella armonia, io stessa mi trovo trascinata nella musica. È il mio inno preferito, e il mio cuore comincia a riempirsi di un intenso struggimento spirituale.
Vorrei potermi unire al coro… ma so che non posso rimanere lì. Debbo strapparmi via. Non posso abbandonare i miei doveri.
Mi affretto fuori, a dare ancora un’occhiata, a controllare lo stato delle cose. Ma quando sono lì non posso credere a quello che vedo. Non posso credere a come rapidamente questo accada. L’aqua ha raggiunto la cima. Si fa avanti velocemente in un rigonfiamento irrazionale.
Non c’è più niente ch’io possa fare. Non c’è niente che chiunque possa fare. È troppo tardi. L’acqua non retrocederà.
In fretta raccolgo le mie forze e mi lancio, sollevandomi in alto nell’aria, più in alto di quanto non fossi andata prima. Ma debbo stare attenta a non stancarmi troppo e sfinirmi. Ho da andare per molte miglia, prima di raggiungere il possimo villaggio.
Dietro me posso vedere il rotolare dell’acqua sopra la terra… e la malinconia di un oscuro campanile, dove la grande campana era stata muta da anni.
Ma appena acquisto una certa distanza, mi fermo a guardare indietro… e la memoria del luogo che una volta conobbi lentamente svanisce in un confortante mondo di crepuscolo.

*** *** *** *** *** ***

L’ultima volta

Era il primo giorno ch’ero completamente da solo come proprietario del Corner Variety. Il negozio veniva ad essere il mio mezzo di sussistenza d’ora in poi ,ed gentile con tutti, sorridendo molto. Ma dal momento che la vidi, capii che lei non era un tipo da sorridere, pur sembrando di aver piacere ch’io fosse allegro.
“Ha comprato questo negozio?” mi domandò immediatamenete.
“Sì” dissi, porgendole il resto di un litro di latte. “L’ho comprato.”
“Pensa di farci soldi?”
Ebbi un riso soffocato. “Oh, non so. Spero di guadagnarci da vivere. Devo fare qualcosa. Sono un carpentiere – non c’è più molta costruzione qui in giro.”
Lei annuì col capo. “Già, nessuno costruisce più nulla.”
Non aveva fretta di andarsene. Le volevo dire qualcos’altro, ma non ci riuscii. Potevo andare avanti solo un po’ con uno scambio di poche parole, e poi speravo che il cliente se ne andasse.
Non speravo questo con lei, però. Al contrario. Tuttavia, stavo a bocca chiusa.
“Meglio che vada,” sospirò. “Ho lavorato tutto il giorno – dieci ore. Sono una cuoca. Alcuni giorni sono piuttosto stanca.”
“Un tempaccio fuori stasera.” riuscii a dire, mentre lei usciva.
Di fronte il negozio era una grande vetrata, e potevo vederla camminare da una parte all’altra della strada. Soffiava un forte vento nordico, ma sembrava che non le desse affatto fastidio. Sembrava fatta per camminare nel vento. Era piccola e compatta. Fatta di ferro, per così dire. Non aveva niente in testa, eccetto una banda per tenere indietro i suoi capelli grigio-ferro. Indossava dei pantaloni stretti aderenti e i suoi stivali alti fino al ginocchio. La sua giacca di pelle nera era piuttosto corta. Pensai al suo sedere raggelato in quel freddo pungente… ma in realtà sapevo che stava bene.
Dopo, ero curioso della sua età. Poteva essere in qualsiasi posto fra i cinquanta e i settanta. Era difficile dire. La sua faccia non aveva rughe, ma la sua pelle era di un marrone violento.
Ogni giorno aspettavo che lei tornasse. Alcune notti, guardavo pure fuori la finestra della mia camera, nell’appartamento sopra il negozio, sperando di vederla camminare lì vicino. Era quel tipo di donna a cui molti uomini non avrebbero dato una seconda occhiata… ma per qualche strana ragione mi eccitava molto.
Quando tornò, diverse settimane dopo, dapprima non sapevo neppure che era nel negozio. Improvvisamente era lì, in fila, porgendomi una banconota di cinque dollari. Risi come un ragazzo nervoso, e sentii una vampata al viso. Ero contento di avere la barba lunga per nascondere il rossore.
“E come va stasera?” chiesi, cercando di apparire disinvolto.
“Non c’è male. Bene.”
Aveva un modo peculiare di guardare in una vaga direzione, e poi diritto alla tua faccia in tempo per cogliere la tua risposta.
“Come va il lavoro?”
“Occupata. Troppo. E nel mio giorno libero, non ho neppure dieci minuti per riposare. Tanto da fare a casa.”
“È un mondo duro, non è vero?”
Lei si fece da parte per lasciare pagare a un giovane le sigarette, poi tornò di fronte al banco a parlare. “In questo mondo non ci sono altro che problemi. Problemi da quando nasci fino a quando muori.”
Apparve così infelice. I suoi occhi erano di un bel marrone, ma le pupille erano troppo piccole…
Come desideravo toccare e carezzare la sua dura pelle marrone… la sua delicatezza era tutta interiore. Mi sono sporto dal banco.
Lei si tirò indietro. Squillò il telefono, e dei clienti entrarono tutti allo stesso tempo. In mezzo alla confusione non la vidi uscire.
La notte non riuscii più a dormire. Mi agitavo e rigiravo fin quando era quasi l’ora di alzarsi.
C’erano molti italiani nel vicinato che venivano regolarmente, e spesso ero tentato dichiedere loro se la conoscessero. Ma non lo feci mai. Lei poteva essere la sorella di qualcuno di loro o la madre… la moglie di qualcuno. Non volevo causarle dei problemi.
Per conto mio, ero stato separato per oltre trent’anni. Ero libero.
Passarono delle settimane e nessun segno di lei. Mi comprai una bottiglia di brandy e la tenevo presso il letto. Avevo bisogno di riposare ed essere capace di lavorare lunghe ore – non mi potevo permettere di assumere qualcuno.
Quando finalmente la vidi di nuovo, diversi mesi erano passati, e avevo bevuto più che mangiato.
“Non sembra in buono stato di salute. Che c’è che non va? È malato?” Ero abituato alla sua schiettezza.
“Oh, no” balbettai. “Sto bene. Veramente, mi sento benissimo – solamente voglio perdere peso.” Misi le mani dietro la schiena perché non vedesse che tremavano.
“Perché vuole perdere peso? Lei è pazzo!”
Ridendo leggermente, mi sporsi dal banco. “Non l’ho vista da molto tempo,” dissi, guardandola.
“Sono stata occupata. Dobbiamo sistemare la casa… per venderla. Traslochiamo in un appartamento. Mio marito, lui ha deciso. Nulla gli fa cambiare idea.”
“Peccato,” dissi, con emozione.
Era aggrappata con le due mani alla cinghia della sua borsetta sulla spalla. “Un giorno mi butto giù dal balcone.”
Nella sua strana, controllata disperazione, lei mi eccitava ancora di più. Sapevo come sarebbe stato fare all’amore con lei. Non sarei stato sorpreso se le lenzuola sarebbero state macchiate di sangue dopo. Sarebbe stato come la prima volta con una giovane ragazza… Mi sporsi su di lei più che potei, con il banco fra di noi..
“Gli appartamenti possono essere dei luoghi molto desolati.”
Non mi aspettavo che le sue labbra tremassero tanto, ebbi le vertigini e divenni eccitato. Le mie risa erano come dei singhiozzi asciutti. Mi accorsi delle mie lacrime agli occhi solo quando sentii l’umidità giù per le guance.
Stavo per toccare la sua faccia quando all’improvviso la nostra intimità fu infranta dall’arrivo di un corriere.
Ero così irritato dall’intrusione che per un momento tutto davanti a me divenne nero. Chiusi gli occhi per riprendere il controllo di me. Ma al tempo in cui riacquistai la vista, lei era già andata fuori la porta.
Quella fu l’ultima volta che la vidi.
Ora sono in pensione, potrei vendere il negozio e smettere di lavorare, ma non lo faccio. Starò qui, dietro questo banco, finchè la salute me lo permetterà. Continuo a sperare che lei si fermerà ancora qui un giorno… quando avrà bisogno di pane o di qualcosa.

*** *** *** *** *** ***

Pranzo per tre

“Dovremmo andare a pranzo insieme… tutti e tre. Da persone civili,” dice.
Sono in cucina e in mano ho un coltello. Mi vedo mentre appoggio la lama sulla sua faccia, proprio sopra lo zigomo, e taglio dritto nella guancia tonda come una mela. Quando ho finito, stringo in mano il pezzo di carne e lo osservo. Non mi dice niente. È un bel pezzo di carne… neanche un filo di sangue sopra. Un lavoro pulito. A che pro una mutilazione fatta male?
Non dico niente e continuo il mio lavoro. Sto tagliando una zucca a cubetti. La corteccia è dura e ci vuole forza, ma non importa, ho dei buoni polsi.
Le palme delle mie mani si stanno tingendo di succo di arancione. Acqua e sapone da soli non basteranno, lo so, ci vorrà la candeggina e la pelle si farà secca e rossa. Ma che fa… potrei versarci sopra una lattina di acido, non gliene importerebbe. Ha le mani di quella, in testa. Quelle mani sottili, giovani, che gli accarezzano il collo, che lo attirano a sé…
Mi sto chiedento che cosa ha pensato la prima volta che l’ha baciata. Probabilmente si era dimenticato che esistevo.
“Che ne dici dell’Old Country Steak House?”
“Un posto intimo,” dico, sorridendo.
Adesso ho capito la sofferenza di sorridere. Solo un mese fa, se me lo avessero detto, sarei stata scettica. Invece è tutto vero, ora lo so. È come se avessi preso un coltello e mi fossi fatta un buco dove ho la bocca. Ritagliato nelle mia carne.
“Ruth,” dice, scotendo la testa.
Vuole rimproverarmi il mio sarcasmo, ma sa che non servirebbe a niente. Inoltre, non ha più nessun diritto di rimproverarmi. Domani se ne andrà di casa.
“Ruth,” ripete, lasciando il nome sospeso nell’aria come una cosa che non si può mettere giù. È una stramberia? Un nome non è un oggetto, e tanto meno un oggetto che può rimanere sospeso. Ma, date le circostanze, ho diritto a un po’ di follia.
Sì, lui si guarda intorno per vedere se c’è un posto dove posare il nome. Non sopporta di lasciarlo sospeso in quel modo. Deve essere messo da qualche parte. La sua testa gira da una parte all’altra. Cosa dire del ripiano della credenza? No, lì no… non c’è posto. Troppo fotografie. I nostri quattro figli con le mogli, tredici nipoti… la nostra famiglia.
“Nana, perché divorzi?” mi ha chiesto ieri Megan, la mia nipotina di cinque anni.
“Piccolina mia,” ho mormorato, stringendola fra le braccia così forte da farle male.
“Perché, Nana?” insiste.
Me la metto a sedere sulle ginocchia. “Vedi, Megan… tu sei troppo piccola per capire.”
Passa le piccole dita sui miei capelli.
“Tu lo capisci?” dice, stampandomi tanti baci sulla fronte.
Non sono una che piange facilmente, ma ieri ho pianto. E, maledizione, lo sto facendo anche ora. Una lacrima mi è caduta sul dorso della mano, ma quando lui mi si accosta non c’è più, per fortuna. Evito di pulirmi gli occhi, così non se ne accorge. Ho il mio orgoglio.
“Prenoto i tavoli,” dice. “Per tre. Alla Old Contry Steak House. Così parleremo. Da amici.”
Ha finito, ma non si allontana. Non sopporto più di averlo vicino. Associo la sua vicinanza al tradimento. Passeggiavamo nel parco l’uno accanto all’altra, quando me lo disse la prima volta. Le maniche delle nostre giacche a vento si toccavano.
“Ascolta,” dice ora chinandosi verso di me, “io ho ancora bisogno della tua amicizia. Tu lo sai questo, vero?”
Ho finito. Metto la zucca in un piatto da forno e la copro. C’è ancora un sacco di tempo per la cena. E poi il forno a microonde farà in un attimo. Mi lavo le mani. Ho deciso di non usare la candeggina, dopotutto. Aspettererò che il colore vada via da solo.
Poi lavo tutto quello che si trova sul ripiano, lascio it coltello per ultimo. Faccio scorrere sulla lama acqua fredda. L’acqua calda toglie il filo. Odio i coltelli che non tagliano, che non sono belli affilati.
Il rubinetto è completamente aperto, la lama luccica sotto il getto…
“Ma che fai, Ruth? Che diavolo… ”
Non gli do retta, ma dopo un po’ lo chiudo. Asciugo il coltello e lo rimetto a posto. Ci metto un po’ più del solito per chiudere il cassetto.
“Per amor di dio, stai bene?”
Resto immobile per un momento, tirando un profondo respiro. Lancio una breve occhiata nella sua direzione. Il sangue non mi è mai piaciuto, e non sono così pazza da credere che una ferita non sanguinerebbe. Ma non gli dico niente di questo. A che serve?
Vado all’armadio a muro, prendo il cappotto. Comincia a piacermi, uscire da sola. È la prima volta che lo ammetto. D’ora in poi la mia vita sarà mia. Non devo niente a nessuno. A quest’uomo, poi, non devo niente di più, gli ho già dato troppo. Mi sono affidata a lui…
“Penso che lascerò perdere la prenotazione,” dice, mettendo la mano sulla porta. “Non vuoi andarci, mi pare, no?”
Non rispondo. Non sono tenuta. Non ho detto che ci sarei andata, non l’ho mai neanche accennato. Non sono pronta a offrire amicizia. Forse non lo sarò mai. Devo decidero io.
È autunno, e dappertutto le foglie stanno cadendo. Mi sento un po’ come una foglia anch’io . . . una che da poco si è staccata dal ramo. Sto cadendo, e sono un po’ spaventata, ma eccitata, allo stesso tempo . . . con il vento che mi sospinge di qua e di là, prima di lasciarmi cadere . . . e la terra, così soffice in questa stagione dell’anno.

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Before The Roses Fade

After kissing her baby good night over the crib, Leda lifted her long black hair back onto her shoulders. Sam put his arms around her waist. “Not bad looking our bambina,” he grinned. “Someday she’ll be a beauty queen!” Leda laughed and adjusted his tie. He was a plain fellow, in looks and manner, but she loved him. Everything was perfect. He went to pick up the babysitter. She wrapped the gift, and wrote a few words on the card, signed it.
The traffic was heavy and they were almost late arriving at the club. A young man in a gray tuxedo hurriedly ushered them to their place, not far from the head table. It was a multi-course dinner… veal, quail, fancy sherbet, exotic fruits. Politicians and dignitaries were present.
Soon the band began to play for the old couple to dance. People stood up and applauded. The old woman had forgotten the steps of the slow tango . . . she was a lifeless bulk, burdened by a long black dress covered with sequins. Her agile partner was gentle with her, but after a few turns, tactfully led her back to their place of honor, behind the huge cake decorated in gold.
“Poor soul,” Leda murmured absently.
Shortly after, Sam noticed his wife’s nervousness and got her up to dance, so that they could talk without being overheard by the other people at the table. “What is going on?” he asked. “Why are people staring at us?”
“Tony… their son,” she whispered, “he never stopped looking at me all through dinner. Didn’t you notice?”
“Oh, is that all?” he laughed. “I guess I’m getting used to people looking at you. You’re the most beautiful woman here tonight.”
“Sammy, it’s not funny.”
Frowning, he pulled her closer. “I know. But don’t make anything of it . . . pretend nothing happened.”
“I don’t understand. Anyway, why don’t we get out of here, Sammy. I don’t feel comfortable staying.”
He didn’t say anything until they were into the next dance. “We can’t do that. We can’t leave yet… it would be an offense . . . You haven’t lived here very long, so you don’t know. These people… they’re the ones with the money behind the company I work for . . . and just about every other business around here. They own his city, Leda. Nobody ever slights the Argentini family.”
“What are you trying tell me?”
The lights dimmed. They danced on. Out of the corner of her eyes, she saw several men going up to the old man and kissing his hand. The son stood at his father’s side, at ease with the ritual.
Tony Argentini rarely smiled, Leda noticed. He was tall, with dark features and smooth black hair that was beginning to go thin at the forehead. He was in law school, and people said he was brilliant.
Dancing past the head table, she felt dizzy for a moment. Sam quickly supported her. “Damn,” he said, not to her.
“It’s all right. Just too much dancing. Let’s go back to our table.”
At eleven o’clock they got up and went to bid goodbye to their hosts.
“So soon?” murmured the old man.
“Our babysitter is young and we have to get her home by twelve,” Sam explained. “We really must go, Mr. Argentini.”
He nodded and spoke again, in his soft murmuring voice. “It was good of you to come, Sammy Malito. Eh… you played with my sister’s kids when you were little, remember? Nice boy… nice.”
Removed to the back, between her husband and her son, Mrs. Argentini was sprawled on a chair, fat ankles crossed. She had fallen asleep.
“I heard you have a little daughter,” said the son, his dark eyes staring into Leda’s. “Best wishes, Signora… ” Then he bowed and kissed her hand.
As soon as they were outside, Sam took out a cigarette. Lighting it, his hands were shaking so badly he had to use two matches. “The bastard. He pretended I wasn’t even there. The bastard.”
“Sammy,” she said, resting her hand on his knee as he drove, “let’s just forget about tonight, pretend it never happened. Let’s just think about us . . . and our beautiful little girl. Don’t you think she’s perfect? We’re so lucky!”
“I know.” he said, looking at her. “I think about her all the time. And how can I not think about her… my own flesh and blood? Leda, promise me you’ll never let anything happen to our child… ”
“Now what kind of talk is that, Sam…?”
“Crazy talk. But Leda, you have no idea the things that are going through my mind right now. I know things that you don’t… ”
“Like what, Sam?”
He took a deep breath. “It goes back many years… My father had a business… a bakery – a legitimate business. Then those damn people came to town – the Argentini. They came from only God knows where… Anyway, Papa was a proud man… stubborn. They wanted him to do things that weren’t right, but he wouldn’t. He never gave in to them. Never. My mother kept a black dress in her closet all the time… and we all knew why.”
“Oh Sam. But why didn’t you mention any of this before?”
He didn’t answer right away. “It’s not something you go around talking about, Leda, and because you can’t talk about it, you pretend to forget.”
She thought for a moment. “But… nothing did happen to your father… ”
“Yeah, that’s the ironic part,” he said, as they were turning into their driveway. “Papa died of old age.”
“Well, you see, Sammy… you’re just letting your mind get ahead of you, that’s all.”
He started to open the car door, but then paused to smile at her for a second. “Maybe you’re right, Leda. Maybe you’re right.”
But later, when he came back from driving the babysitter home, he went straight to the cupboard and poured himself a cupboard. Then for a long time he stared at his empty glass. “Leda,” he said at last. “I think I was being followed.”
She reproached him too quickly. “Oh darling, it’s so easy to get paranoid about things like this. Please forget it.”
But neither one of them could forget it, and that night the sheets in their bed remained cold. Their silence had begun… almost a detachment from each other. Each filled with a terrible fear of something vague and horrible happening.
The next day was Sunday and for the first time since they were married, they didn’t go to Mass. Dinner remained half uneaten on the table, and later, Leda played with Tania more than usual, exciting the child too much. Sam listened to opera all day. She hated opera, it always made her head throb. Finally, around nine o’clock, the stereo went silent, and shortly after Sam fell asleep on the couch.
“Thank God,” Leda murmured, fingers of both hands pushing at her temples.
Hurriedly she put the dishwasher on and finished cleaning the kitchen. Then after watching her baby sleep for a minute, she took two aspirins and went to bed.
Around one in the morning, she suddenly woke up and realized that her husband was not in bed yet. Quickly, she turned the light on, slipped into her robe and went downstairs to check.
She found him where she had left him. Strange, though, he had not moved at all. His one arm was still hanging at the edge of the couch, the hand flat on the floor. Could something be wrong?
Leda’s heart began to pound, and panic came over her. She started to shake him and call his name. “Sam – Sammy . . . Wake up! Sam!”
He lifted his head and glared at her. “Christ! What the hell… what the fuck do you want?”
Trembling, she began to back away – he had never talked to her like that before. “Sorry… I thought… didn’t know – sorry.”
The following evening, as Leda was searching for a pair of gloves in the hallway closet, she suddenly discovered a bottle of brandy hidden on the shelf, between some old sweaters. The bottle was nearly empty.
“Oh dear Lord, what is happening? What is going on?” she mumbled, stunned.
Sam came up behind her. Angry, he snatched the bottle from her hand. “Shut up, Leda,” he said. “Right now shut up – don’t you dare say a word.”
The baby whimpered in the other room, and Leda hurried to pick her up. “Oh my angel,” she murmured, smothering the child with kisses. “Angel . . . ”
After that, Sam didn’t seem to care anymore if Leda knew he was drinking or not. At night he always went to bed drunk, and in the morning, he poured brandy in his coffee until his mug was too full.
Leda’s nerves got so bad that she could scarcely go out anymore… and when the phone rang she jumped, even if her husband was home safe and sound, the baby tightly snuggled in her arms.
Leda had lost over thirty pounds when it happened. Sam was a wisp of a man in his coffin…
He had been well liked in the town and a lot of people came to pay their respects. There was a long line going up to his casket.
Friends lightly kissed Leda on both cheeks… acquaintances held her hands.
People whispered among themselves: “So tragic. No safety on construction… No safety at all.”
For three weeks her mother came to take care of little Tania. Then one day the woman put on her coat and caressed her daughter’s hair. “The child is your responsibility,” she said, anguished. “The time has come for me to leave.”
Slowly, Leda started doing her chores again. She hugged her daughter when she had to . . . and soon tenderness opened up her heart again.
One morning, a few weeks later, the doorbell rang. It was the florist. Leda took the long box to the table and slowly opened it. She counted twelve red roses. The enclosed card said: Belated condolences . . . Tony Argentini.
In Tania’s room, Leda leaned over the crib and looked at her sleeping child for a long time. She picked up the tiny hand . . . so light and plump, warm. Two tears fell from Leda’s eyes and rolled onto the child’s white blanket. She would have to put the roses in a vase before they faded.

*** *** *** *** *** ***

A Place I Once Knew

The church stands across from the river. Further down, you can see a factory with tall stacks. We’re attending a special celebration, the church’s 75th anniversary. When Mass is out, we will join the people in their usual stroll by the river. It’s a pastoral place, except for the stacks.
I look back, and not a pew is empty. The priest is making his way to the altar, and everyone is standing. But I am too tired to make myself rise. I cannot hear, but I know everyone is singing. I know these people, they’re the kind who take full part in the service.
But even though I cannot hear, I can see. I can see everything around me, and I can see in other places too. Sometimes I can see what is happening in other places better than where I am.
Just then someone gently touches my shoulder. I turn to look.
“Tired?” the woman asks.
From reading her lips, I can tell there’s kindness in her voice. She’s an older woman, someone I have known all my life. I must be related to her somehow – I am related to many people in this town. But I cannot recall who she is.
Politely, I nod.
“Well, go on and rest then. You need it.”
They’re good people, everyone. They would never want to hurt my feelings—they know I am old and work long hours, making wooden toys for children in need. They also know I never miss Mass; I am a good person. I am like them. They will let me remain seated; they’ll allow me this little insurrection, even during the consecration, when everyone should be kneeling.
Today I am more tired than usual. But I have good reason to be—I have traveled many miles to get here. And it’s when I am in this overtired state that I can see better than ever. I can see far and beyond . . . I can be here and not be here. I can be seen and not seen. I can be Peppe the Carpenter, who lived and died here . . . or I can be a small force in the wind.
The stacks are releasing something. What? Like steam. A slow release, fumes that disperse easily. Then clean looking stacks again. But the river is something to watch, to keep an eye on. The swelling.
It’s a slow rising. Still it’s worrisome. The river.
I leave the pew, passing in front of the people sitting next to me. I go down the aisle, toward the nave and the tall wooden doors.
I am out by the river now. I am watching. I have to.
The waters are smooth, but already getting high. Will they rise to the top? I see the thin flow from the stacks, too. But the air is clean, white. The stacks are white, painted so clean.
But watch the water, the water. Watch the level. Watch how fast it’s coming up now.
Suddenly I am back in the church. I am soft wings brushing against eyes, sweeping here and there, in the air . . . through the congregation, fluttering . . . fluttering. Warning everyone.
But the people smile to themselves and brush me away. Hands, fingers. What was that? What was that? Vague thoughts that’ll never transform into words. So wholesome is their concentration in their ritual.
I am getting really worried now. The water. The pure white stacks. The fullness of the church . . . I rush to the back to the vestibule, where things are kept.
I find the bell, and even though it’s a small one, it’s still hard for me to lift. But I make myself do it. I have to. The bell must be made to ring and warn the people.
There. Clang, clang, clang.
But the sound is not loud enough. It’s a sound that doesn’t carry; a sound that doesn’t go forth. It will not bring distraction to Holy Words.
Suddenly my deaf ears open to the people’s singing, and as their voices rise in beautiful harmony, I find myself drawn to the music. It’s my favourite hymn, and my heart begins to fill with an intense spiritual yearning.
I wish I could join in the chorus… but I know I cannot remain here. I must tear myself away. I must not abandon my duties.
I hurry outside, to take one more look, to check on the state of things. But when I get there, I can’t believe what I see. I can’t believe how fast this thing is happening. The water has reached the top. It’s rushing forward in a mindless swell.
There’s nothing I can do anymore. There’s nothing anyone can do. It’s too late. The waters will not retreat.
Quickly, I gather my strength and give myself momentum, rising high in the air, higher than I have ever gone before. But I have to be careful not to get too tired and wear myself out. I have many miles to go before reaching the next village.
Behind me, I can see the rolling of the water over the land . . . and the gloom of a dark campanile, where a large bell has been silent for years. But as soon as I gain some distance, I stop looking back . . . and the memory of a place I once knew slowly fades into a comforting world of twilight.

*** *** *** *** *** ***

The Last Time

It was the first day I was completely on my own as the new owner of the Corner Variety. The store was to be my livelihood from now on and I was pleasant to everyone, smiling a lot. But from the moment I saw her, I knew she wasn’t the smiling type, though it seemed to please her that I was cheerful.
“You bought this store?” she asked right off.
“Yes,” I said, handing her the change for a liter of milk. “That I did.”
“You think you’ll make money?”
I chuckled. “Oh, I don’t know. I hope to make a living at it. I had to do something. I am a carpenter-not much construction around here anymore.”
She nodded, agreeing. “Yeah, nobody’s building anything anymore.”
She wasn’t in a hurry to leave. I wanted to say something else to her, but I couldn’t. I could go only so far with small talk, and then I hoped the customer would leave.
I wasn’t hoping that with her, though. It was the opposite. Still, I was tongue-tied.
“I’d better go,” she sighed. “It was working all day—ten hours. I am a cook. Some days I get pretty tired.”
“Nasty out there tonight,” I managed to call out, as she went out the door.
The front of the store was one big glass panel, and I was able to watch her walk across the road. A strong north wind was blowing, but it didn’t seem to bother her at all. She seemed made to walk in the wind. She was small and compact. Made of iron, so to speak. She had nothing on her head, except a headband to keep her steel-gray hair back. She was wearing tight stretch pants and her boots came up to her knees. Her black leather jacket was quite short. I thought about her small behind freezing in that bitter cold… but really, I knew she was all right.
Later, I wondered about her age. She could have been anywhere from fifty to seventy. It was hard to tell. Her face had no wrinkles, but her skin was a hard brown.
Each day I looked for her to come back. Some nights, I even looked out my bedroom window, in the apartment above the store, hoping to see her walking by. She was the kind of woman most men would never look at a second time… but for some strange reason she excited me a lot.
When she came back, several weeks later, at first, I didn’t even know she was in the store. Suddenly she was there, next in line, handing me a five dollar bill for a loaf of bread. I laughed like a nervous boy, and I felt a flush on my face. I was glad I had a long beard to hide it.
“And how are you tonight?” I asked, trying to sound natural.
“Not bad. Fine.”
She had a peculiar way of looking in a vague direction while speaking, and then right into your face in time to catch your response.
“How is work?”
“Busy. Too much. And on my day off, I don’t even have ten minutes to rest. So much to do at home.
“It’s a tough world, isn’t it?”
She stood aside to let a young man pay for his cigarettes, then she came back in front of the counter to talk. “This world is nothing but trouble. Trouble from when you’re born till you die.”
She sounded so unhappy. Her eyes were a nice brown, but her pupils were so small…
How I longed to touch and caress her hard brown skin… her softness was all inside. I leaned over the counter.
She drew back. The phone rang, and a number of customers came in all at once. In the midst of the commotion, I didn’t see her leave.
At night I couldn’t sleep anymore. I tossed and turned until it was almost time to get up.
There were a lot of Italian people in the neighborhood who came in regularly, and often I was tempted to ask them if they knew her. But I never did. She could be somebody’s sister or mother… somebody’s wife. I didn’t want to bring her any trouble.
As for me, I had been separated for over thirty years. I was free.
Weeks went by and no sign of her. I bought myself a bottle of brandy and kept it by the bed. I needed to get my rest and be able to work the long hours—I couldn’t afford to hire help.
When I finally saw her again, several months had gone by, and I had been drinking more than eating“You don’t look good. What’s wrong? You sick?” I was accustomed to her bluntness.
“Oh no,” I stammered. “I’m fine. Actually, I feel great-I just wanted to lose some weight.” I put my hands behind my back so she wouldn’t see them shaking.
“Why you want to lose weight? You’re crazy!”
Laughing softly, I leaned over the counter. “I haven’t seen you for a long time,” I said, looking at her.
“I was busy. We had to fix the house… to sell it. We moved to an apartment. My husband, he decided. Nothing change his mind.”
“That’s too bad,” I said, with feeling.
She was hanging on to the strap of her shoulder purse with both hands. “Someday I’ll jump from the balcony.”
In her strange, controlled desperation, she excited me even more. I knew what it would be like making love to her. I wouldn’t be surprised if the sheets would be stained with blood when it was over. She would be like a young girl the first time… I leaned as close to her as I could, with the counter between us.
“Apartments can be very lonely places.”
I hadn’t expected her lips to tremble like that, and I became giddy, intoxicated. My laughter was like dry sobs. I knew about the tears in my eyes only when I felt their wetness slide down my cheeks.
I was reaching out to touch her face when suddenly our privacy was shattered by a delivery man coming in.
I was so upset by the intrusion that for a minute everything in front of me went black. I closed my eyes to get a grip on myself. But by the time I was able to see again, she was already going out the door.
That was the last time I saw her.
I am on pension now, and I could sell the store and retire, but I won’t. I’ll be here behind this counter for as long as my health holds. I am still hoping she’ll stop by again someday . . . when she needs a loaf of bread or something.

*** *** *** *** *** ***

Dinner For Three

“We should go out for dinner together – the three of us. To be civilized,” he says.
I am in the kitchen and I have a knife in my hand. I picture myself placing the blade on one side of his face, just above his cheekbone, and slicing right into his apple round cheek. When I am done, I will hold the piece of flesh in my hand and look at it. It doesn’t mean anything to me. It’s a clean piece of flesh-not a trickle of blood to it. No mess at all. Who needs a messy mutilation?
I don’t say anything and keep on working. I am cutting a squash into cubes. The skin is tough and I have to push really hard to get through it. But I don’t mind; I have good strong wrists.
The palms of my hands are getting coated with the orange colour from the squash. I know that just soap and water will not take it off. I’ll have to use bleach and it will make my skin feel tender and sore. But that doesn’t matter… I could pour a can of acid on my hands and he wouldn’t care. That’s because he has her hands to think about. Those slender, young hands caressing his neck, drawing him to her…
I wonder what he thought the first time he kissed her. He must have forgotten I even existed.
“How does the Olde Country Steak House sound?”
“Homey,” I say, smiling.
Now I can actually say I know the pain of smiling. Only a month ago, if someone would have talked about it, I would have been skeptical. I would have doubted there could be pain in smiling. No, I wouldn’t have believed. But I believe now all right. It’s as though I have taken a knife and cut a hole where my mouth is. Carved into my own flesh.
“Ruth,” he says, shaking his head.
He wants to chide me for my sarcasm, but he knows it wouldn’t do any good. Besides, he has no right to reproach me anymore. He’s moving out tomorrow.
“Ruth,” he says again, leaving the name hanging in the air like an object that can’t be put down. I know that sounds weird. A name is not an object, let alone one that can hang in the air. But under the circumstances, I have a right to some insanity.
Yes, he’s looking around for a place to let the name rest now. He can’t stand to leave it suspended like that. It has to be placed somewhere. His head turns here and there. What about the top of the buffet? No, not there – not enough room. Too many pictures. Our four children and their spouses; thirteen grandchildren – our family.
“Nana, why are you getting a divorce?” five year old Megan asked me yesterday. I was at my daughter’s house babysitting.
“Oh my little darling,” I whisper, hugging the child so hard I nearly break her tender ribs.
“Why, Nana?” she asks again.
I make her sit on my lap. “You see Megan… you’re too young to understand.”
She combs the top of my hair with her little fingers.
“Do you understand it?” she says, kissing my forehead over and over again.
I am not a person who cries easily, but yesterday I cried. And damn it, I am doing it again now. A tear has just fallen onto the back of my hand, but when he comes to stand beside me, the tear is not there anymore and I am glad. I avoid wiping my eyes so he won’t notice anything. I have my pride.
“I’ll make the reservations,” he says. “Dinner for three. The Old Country Steak House. We’ll talk. Be friends.”
After he has spoken, he still doesn’t move away. I don’t want him close to me anymore. I associate his nearness with betrayal. We were walking together in the park when he first told me.. the sleeves of our windbreakers touching…
“Listen,” he says now, leaning toward me. “I still need your friendship. You know that, don’t you?”
The squash is all cut up. I put it in a baking dish and cover it. There’s still lots of time before supper – I’ll use the microwave anyway and it’ll be quick. I wash my hands, but I have decided not to use the bleach after all. I will let the orange colour wear off by itself.
After, I clean everything on the counter, leaving the knife till the end. I run cold water on the blade; I know hot water will dull a blade. I hate a knife that won’t cut, that isn’t nice and sharp.
The tap is running full blast. The blade gleams underneath the water…
“What are you doing, Ruth? What the hell…”
I pay no attention to him, but after a while I finally turn the water off. I wipe the knife and put it away. It takes me a minute longer than usual to close the drawer.
“For God’s sake. Are you all right?”
Standing very still for a moment, I take a deep breath. Briefly, I glance his way. I never did like blood, and I am not foolish enough to believe that a wound wouldn’t bleed. But I say nothing of this to him. What is the use.
Going to the closet, I get my coat. I am beginning to enjoy going for walks alone. This is the first time I have admitted this to myself. But from now on my life will be my own. I don’t owe anyone anything. I certainly don’t owe this man anymore than I have already given him. I trusted him…
“I guess I’ll forget about the reservations,” he says, holding the edge of the door. “You don’t want to go, do you?”
I don’t answer. I don’t have to. I never said I would go. In fact, I didn’t even hint I would. I am not ready to offer friendship. Maybe I never will be. The choice is mine.
It’s autumn and everywhere the leaves are falling. I feel a little like a leaf myself… one newly detached from a branch. I am falling and I feel a little scared, but heady, too… the wind tossing me here and there before I land… the earth so soft this time of year.

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