L’Onu: peggio di Mozambico e Rwanda
Il rapporto del 2011 boccia il nostro Paese, ma la francia fa addirittura peggio

L’ennesima conferma arriva dal rapporto 2011 dell’Onu e dell’Unione Interparlamentare sulla presenza femminile nei parlamenti nazionali: nellaspeciale classifica mondiale, infatti, il nostro Paese occupa la non lusinghiera cinquantasettesima posizione, garantita da una quota rosa che sugli scranni di Camera e Senato raggiunge rispettivamente il 21,6 e il 18,6 percento del totale.
Un risultato che, rispetto alle altre grandi nazione europee, è peggiore solo al dato fatto registrare dalla Francia, indietro di qualche gradino con il 18,9 percento. Situazione paradossale visto che proprio al di là delle Alpi era stata introdotta la prima legge sulla par condicio, una norma che avrebbe dovuto uniformare in alcune consultazioni il numero del contingente maschile e di quello femminile.
Sopra l’Italia Mozambico, Sudafrica e Rwanda nonché altri importanti esponenti del Vecchio Continente come Belgio, Finlandia, Norvegia e Svezia. E proprio da Goteborg arriva un modello di partecipazione nettamente agli antipodi, soprattutto se paragonato ai nostri standard: il paese scandinavo, infatti, sta pensando di eliminare le quote rosa a garanzia della parità di opportunità maschile. La suggestione è vecchia di due anni ed è partita dal ministero dell’Istruzione. Su questa ipotesi hanno inciso anche vecchie scelte di alcuni partiti che dapprima, erano gli anni 70, incoraggiarono la rincorsa politica del cosiddetto sesso debole e in seguito, nei due decenni successivi, ne ispirarono il boom, accogliendo nei propri statuti una clausola di favore. Questa prevedeva che il 40-50 percento delle liste elettorali fosse composto da donne, all’epoca titolari in Parlamento del 20-30 percento dei seggi.
Ma quello svedese è un caso più unico che raro. Nel complesso, secondo l’indagine Onu, il contributo femminile alla formazione delle assemblee nazionali nel 2011 è stato solo del 19,5 percento, con un microscopico incremento dello 0,5 in 12 mesi a cui non ha giovato sicuramente lo scoppio della Primavera araba. In Egitto, ad esempio, la presenza rosa è diminuita del 15 percento ma comunque, in generale, nel mondo mediorientale non si va al di sopra di un modestissimo 10 percento.
L’antidoto alla discriminazione, allora, potrebbe essere rappresentato proprio dalle quote, visto che, l’anno passato, nei 17 paesi che le hanno adottate, la percentuale di donne elette è stata nettamente superiore a quella delle nazioni che ancora non ne hanno ratificato l’introduzione, (27,4 contro 15,7).
L’Italia fa parte di questa ultima schiera, avendo abortito in Parlamento il progetto di legge. Esiste, però, depositata in Senato dopo aver ottenuto l’ok della Camera, una proposta che, tra le altre cose, sancisce la doppia preferenza di genere e permetterebbe all’elettore di indicare un nominativo maschile e uno femminile nella scelta dei consiglieri comunali.
Attualmente nella Penisola la parità donna-uomo è tutelata a livello normativo solo nei consigli d’amministrazione dove dal 2011 un quinto delle poltrone deve essere appannaggio del gentil sesso (nel 2015 si salirà a un terzo). L’obiettivo è quello di arrivare nel 2022 a non avere più bisogno delle quote rosa aziendali e perciò ad abolirle. Come in Svezia per la politica. L’incubo, all’opposto, è finire come Nigeria, Iran, Mongolia, Emirati Arabi Uniti e Myanmar i cui Parlamenti concedono alle donne solo il 5% dei posti.

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