di Cristiana Bullita

Per noi cittadini comuni la recente occupazione della scuola Collaso i Gil di Barcellona, nella Ciutat Vella, funge da efficace promemoria di un distinguo filosofico essenziale al nostro vivere quotidiano: quello tra moralità e legalità. Genitori, insegnanti e attivisti pro Referendum per l’indipendenza catalana, al grido di “Votarem!” (voteremo), hanno scavalcato il cancello della scuola e si sono introdotti nell’edificio. Questi cittadini, insieme a molti altri, intendono difendere il voto e la libera espressione della volontà popolare, dopo che la Corte Costituzionale spagnola ha sospeso il decreto di convocazione del Referendum e la legge di scissione emanata dal Parlamento della Catalogna. Nelle ultime settimane la Procura di Madrid ha sequestrato una notevole quantità di materiale elettorale e la Guardia Civil ha effettuato perquisizioni e arresti, suscitando l’entusiasmo dei partiti di destra. Il 20 settembre l’Assemblea nazionale spagnola ha respinto, solo per una manciata di voti, una mozione che chiedeva di reprimere con la violenza l’iniziativa degli indipendentisti catalani, colpevoli di aver “ignorato la legge”, secondo la dichiarazione di Albert Rivera, leader di Ciudadanos.
È vero: la Costituzione spagnola, come del resto quella italiana, non ammette secessioni. Inoltre il Referendum del 1 ottobre non è legale, perché non indetto dal Parlamento e dal governo spagnoli.
Tuttavia è bene ricordare che la norma giuridica non è sacra: «ogni appello all’indiscutibilità della legge o alla sacralità dello ius deve sempre metterci in allerta» (G. Zagrebelsky, Intorno alla legge). Inoltre esiste un preciso dovere di resistenza di fronte a leggi ingiuste, come afferma B. Brecht. Chi viola la norma non è sempre un pericoloso sobillatore dell’ordine costituito, ma magari è lo strumento di una ragione storica che volge al bene anche ciò che apparentemente è male, come può apparire la disobbedienza a una regola data. Forse sarebbe opportuno chiedersi più spesso “è giusto?” invece che “è legale?”.
Come ci ha spiegato Kant già nel XVIII sec., la moralità è cosa diversa dalla legalità. La convinzione interiore che è giusto fare quel che la legge comanda non va confusa con una mera conformità di fatto alla norma. L’uno è il campo dell’agire morale, l’altro quello del diritto.
Chi fa le leggi agisce spesso per il proprio tornaconto e contro l’interesse di chi le deve osservare. Nel V sec. a.C. sofisti come Ippia, Antifonte, Trasimaco, Crizia criticano il nómos affermando che le leggi positive degli Stati spesso ignorano quelle non scritte della natura umana, che pretendono l’assoluta uguaglianza di tutti. Le leggi sono il più efficace strumento nelle mani del potere per difendere i propri privilegi. Platone aggiunge che democrazia e tirannide fanno la stessa cosa, cioè «proclamano che il giusto per i governati è ciò che è invece il loro proprio utile» (dei governanti). De André, circa 25 secoli dopo, ne Il testamento di Tito, esprime il medesimo concetto per bocca del ladrone buono che muore con Gesù.
Chi invoca la norma a ogni piè sospinto lo fa spesso da un piedistallo, con l’arroganza e la violenza repressiva del potere. Tuttavia sono i servi del sistema a nascondere dietro i codici la loro pavidità e acquiescenza; quelli che con ogni pronto signorsì elemosinano la carezza del capo eseguendo con scrupolo compiti che non suscitano mai dubbi e interrogativi (“è la legge!”); quelli che condannano aspramente chi osi praticare una qualsiasi forma di resistenza civile e pacifica al presente stato di cose. Chi ama davvero la legge dovrebbe invece rispettare chi la critica e chi le disobbedisce a volto aperto e assumendosene la responsabilità. La legalità non è un totem da venerare ma uno strumento che favorisce la vita associata di un popolo, non è il bene contrapposto al male del dissenso.
Ci auguriamo che il Referendum per l’indipendenza della Catalogna, lungi dal farsi occasione di ulteriori violenze, contribuisca piuttosto a una necessaria (anche nel nostro Paese!) riflessione sulla legalità. Vogliamo qui ricordare la lezione di Antigone che, dando la sua vita contro una legge ritenuta ingiusta, ha affermato la forza della dignità umana contro ogni feticcio legalista.

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