Fu richiesto quale allegato alla tesi di laurea di una cara amica.
Wilma Vedruccio
Ricevo l’invito a testimoniare del mio lavoro presso la Scuola “elementare”.
L’unico, in oltre quaranta anni di militanza attiva.
Lo accetto, anzi lo afferro come il naufrago afferra la cima che lo porterà in salvo. Forse.
E sono a disagio a scriver di scuola, per mancanza di esercizio.
In tanto discuter di problemi scolastici, mai nessuno ha voluto sapere il punto di vista di chi nella scuola ha trascorso la vita, nemmeno nelle sedi ufficiali, in quella che dovrebbe esser l’agorà degli operatori scolastici, il collegio dei docenti.
Riforme scolastiche, circolari ministeriali, aggiornamento costante, programmazioni più o meno collegiali, progettazioni a pioggia, non hanno richiesto alla singola maestra interpretazioni ma capacità di obbedire ed eseguire, sì, quasi in maniera acefala.
Eppure, se il ricordo va indietro e sa ricostruire per sommi capi i tanti passaggi di questi decenni, si vede il filo rosso che ha legato negli anni un’era a un’altra ed ha permesso l’azione “educativa” propria. Aldilà delle prescrizioni e delle “mode” e dei cambiamenti da circolare, è stata la realtà degli alunni in classe a dare senso e significato allo scorrere di innumerabili giorni di lezione.
Volti e nomi, oltre ai luoghi, datano la carriera (carriera?) di una insegnante, fanno breccia nella memoria, differenziano un anno scolastico da un altro e ne inchiodano il ricordo.
Situazioni, più o meno problematiche, ritornano vive, episodi di vita scolastica riaffiorano e ravvivano l’emozione.
Primi anni di scuola, Pluriclasse Rurale, dove a tre piccolini bisogna far riconoscere le lettere dell’alfabeto perché possano leggere, mentre per altri son le operazioni matematiche l’ostacolo da superare, ad altri ancora far cogliere lo spirito del Risorgimento nella storia dell’Italia…
Argomenti diversi, diverse esercitazioni ma tutti insieme si mangia pane e pomodoro alla ricreazione, nel giardino della scuola che pian piano proviamo a far fiorire. Due piccoli in età non scolare s’avvicinano a giocare e poi rimangono con noi per imparare a scrivere.
Vengon poi gli anni del Tempo Pieno. Pieni di cosa? Di idee, di gente, di ricerche nel paese e nella sua periferia che ormai non è più lì ma si è spostata oltre. Troppo oltre e troppo in fretta, cancellando i segni di una storia antica in un territorio che più non si riconosce, che non ha più memoria.
In seguito vengon affidate classi per un intero ciclo (dalla prima alla quinta, dicon le nonne ancora) e l’emozione si fa intensa: dialoghi più profondi e significativi, sguardi che interrogano, amicizie che si rafforzano, percorsi difficili di crescita, voli culturali che entusiasmano. Dalla prima alla quinta…
Arrivano esperienze collegiali, il modulo “tre per due”, più gli altri. E comincia un’altra avventura dove l’incognita ha uno spostamento d’asse, la relazione fra gli insegnanti.
La sorte mi ha donato colleghe ricche di fantasia e pazienza con le quali condividere, per oltre dieci anni, alunni, percorsi, problemi, strategie ed emozioni. C’era un’indubbia ricchezza di proposte e di agire. Con convinzione ed affettuosità. Qualche porta sbatteva a volte… Le alunne volavan quali farfalle fra una maestra e l’altra. Gli alunni eran pronti a distinguere, ad argomentare.
Bel segmento di storia, fatto solo da un’alchimia benefica!
Vien poi il tempo della Lingua Straniera…Inglese in sette classi! Rhymes, songs, literature ante litteram fra bambini che si lasciano innamorare da strane parole. Professionalmente molto stimolante. Isola un po’ nel gruppo delle insegnanti…
Le esperienze didattiche più coinvolgenti, che si ricordano con maggiore gioia, sono quelle legate all’Educazione Ambientale (nell’istituto ero la Referente) negli anni in cui sembrava che la stessa guadagnasse dignità e spazio fra una disciplina e l’altra. Progetti condivisi e vissuti dall’Istituto al suo completo, scolaresche brulicanti nei Parchi presenti nel territorio a conoscere, osservare, interrogare… E poi in aula ad approfondire, confrontare, elaborare e socializzare ai grandi.
Era come se il Parco allargasse le sue maglie e donasse ossigeno alla vecchia scuola che, per incanto e grazie alla fantasia dei bambini, si riempiva di presenze vegetali, quale foresta che animali più disparati popolavano bonari. Altri tempi…
La parte finale della storia si può riassumere nella formula di “insegnante prevalente”. Bella esperienza coi bambini: gli anni della maturità, le esperienze attraversate portano ad affinare l’unitarietà del sapere e la sua bellezza oltre il chiasso e la confusione. Si può stare intorno alla mensa della cultura con gioia già a sei anni e cibarsi, quali uccelletti, d’arte, di musica, di scienza, di poesia. Parole ricche di musica, di poeti quasi scordati, riecheggiano nell’aula fra gli scolari; immagini d’artista, che hanno vinto il tempo, sfidano le copertine dei quaderni con le lusinghe volute dal consumismo; canzoni della tradizione s’insinuano nel repertorio della pubblicità canora.
È una lotta impari: circa quattro ore di scuola contro giornate piene di supermercati e televisione. Sembra sia giunto il tempo dei lupi, l’assedio delle chiacchiere inutili, cresciuto nel mondo dei grandi, inarrestabile quale frana, precipita e travolge la scuola…
E i miei anni sono ormai maturi.
Posso dire di aver avuto fortuna: ho intravisto più volte la bellezza del mio mestiere.
Wilma Vedruccio
Dicembre 2010
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