rosaecroce - ROSA 
 E CROCE

Silloge poetica Francesca Santucci
Prefazione di Antonia Chimenti Frecciaa - ROSA 
 E CROCE

I maschi

Hanno occhi di brace
e barbe color di carbone
e neonati non suggono mieli
dalle bianche mammelle
perciò poi bambini
già fanno la guerra.
Più avanti nel tempo
si stringono in branco
e sono violenti
e straziano i cuori
alle donne, l’amore
giocando. Intanto volute
d’azzurro fumose
ti sparano in faccia i maschi
spavaldi, e poi se ne vanno,
e poi se ne vanno…

I sogni alimentati dai dolci racconti della nonna cozzano con una rude realtà di violenza.
E la realtà in questo caso è costituita dai “maschi”, bambini e giovani uomini: giocano alla guerra, esercitano un irresistibile fascino, manifestano ardenti desideri, ma non amano, “giocano” all’amore, e il sogno d’amore infranto delle donne sfuma. Straordinaria immagine quella della voluta di fumo azzurro, dove l’elemento sensuale, che caratterizza, per tradizione la virilità (penso all’odore di fumo), visualizza la componente vanesia di chi ‘dà fumo negli occhi’ e la componente arrogante e sprezzante di chi ‘fuma in faccia’, manca di rispetto, gioca coi sentimenti, incurante della sofferenza dell’altra.
E la scia di fumo che i gradassi lasciano dietro di sé è azzurra come i sogni.
(dalla prefazione di Antonia Chimenti)

Cupio dissolvi

Miele nell’acqua disciolto.
Io nell’acqua di miele disciolta.
Tu che bevi l’acqua disciolta
di miele.
Tu che mi bevi,
miele di me. Cupio dissolvi,
mia morte sognata perfetta,
io che, convertita, permango,
confusa parte di te.
Io che ti baleno pensiero,
tu che disegni archi coi pensieri,
e nello sguardo ti perdi,
lì, all’orizzonte, in cerca di me,
ed ignori che io sono dentro di te.

E all’amore, ancora una volta, come nella raccolta precedente, Francesca Santucci dedica numerosi componimenti, dove, in un crescendo drammatico, si assiste, come nella comune umana vicenda, alla nascita di un affetto, all’evocazione di sensazioni di dolcezza, che il sogno d’amore ispira, unitamente all’origine di una bramosia di identificazione (che è già prefigurazione di morte), e al distacco, nell’intensissima “Cupio dissolvi”.
Il lettore sensibile trattiene il respiro, stregato dalla straordinaria alchimia verbale e fonetica dispiegata in questa poesia, dove lo stile, di un’evidenza estremamente sensuale, fa vivere l’erotismo al femminile, in un processo di identificazione con l’altro, di annullamento e di estraneamento da sé. L’ambivalenza dell’amore ne fa risaltare la tragicità.

(dalla prefazione di Antonia Chimenti)

Nonna

Nei sogni delle notti
inquiete tu ritorni,
ed io con te, bambina.
E bianche ho le scarpine
e i lacci e i nastri,
e tu, golosa, il volto baci
e pizzichi le guance.
Beata, alle carezze rido,
e morbido è l’incavo
fra i tuoi seni,
dove ancora per godere
del tuo tepore di donna
mi rifugio, nonna.
E il tempo mai è trascorso
e non conosco angustie
e non m’affanno e non gemo.
Ma ormai da troppi anni
più non sei, distesa
giaci nella culla cupa
dove il sole mai batte,
solo ci picchia una pioggia,
eterna, lenta, come la sabbia
di miele che affanna
e si precipita nell’impietosa
clessidra capovolta.

L’incanto della fanciullezza fra braccia morbide e protettrici di donna alimenta dolci sogni (momentanea tregua all’angoscia dell’età adulta), dove appaiono leggiadre ed innocenti immagini di scarpine bianche e fiocchetti e di baci, tenere sensazioni suscitate da pizzicotti, e di confortevole tepore goduto nel contatto fisico con la nonna, una nonna che non è più, ora, una presenza consolatrice reale, dal momento che giace nella sua “culla cupa/ dove il sole non batte”.
(dalla prefazione di Antonia Chimenti)

Spero che dolce sonno sia la morte

Spero che dolce sonno sia la morte,
che l’ali sue distenda a ripararti
perché non oda, tu, il tarlo roditore
che rode e che corrode il tuo bel corpo
che a arrugginire nella fossa giace.
Ti sia lieve, davvero, madre, la terra,
e coltre che ti riscaldi tiepida
dall’infinito gelo delle notti,
che l’una dopo l’altra, senza tregua,
si susseguiranno, l’oro dei capelli
mutando in stinto avorio, cambiando
in vuota orbita colore d’ossa opaco
il verde cangiante degli occhi,
allora luminosi. Ancora di sole un raggio
(almeno uno) ti risplenda, come il battèrio
implacabile che infetta la ferita
pervenga a violentarti; ti brilli sulle labbra
(che sempre penso morbide e rosse e calde)
come un sorriso, come un bacio,
come quel bacio che, tremante d’amore,
deponevo io, bambina, tua figlia,
ora solo grumo di sangue, inconsolabile
per il tuo dolore.

Nella serie dei poemi “in mortem” emerge la diamantina e musicale invocazione “Spero che dolce sonno sia la morte”, il cui dolce fascino è costituito dalla sapiente, armoniosa successione di vocali chiare e dalle allitterazioni e dall’impressione di un incedere lento, solenne, quasi a voler cullare questo sonno, dove la magia del canto di dolore e di rimpianto sembra attutire, come il sonno, l’effetto devastante della decomposizione (messo in rilievo da suoni onomatopeici ricorrenti), che tuttavia procede implacabile e si fa strada, verso dopo verso, a distruggere anche chi vive e ricorda…
(dalla prefazione di Antonia Chimenti)

Carta e Penna editore, Prima edizione maggio 2006
Euro 10,00
ISBN 10: 88-89209-35-6
ISBN 13: 987-88-89209-35-6

Francesca Santucci:  per informazioni email 1 - ROSA 
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