La mappa dei centri specializzati e all’avanguardia –
Ma l’assistenza ordinaria resta carente in molte realtà

di Adriana Bazzi

da calabrianotizie.it 2 settembre 2009

La Calabria è la regione italiana dove la qualità dell’assistenza sanitaria è la peggiore di tutto il Paese. Ed è pessima a tal punto che la Calabria ha il più alto tasso, in Italia, di «fuga» dei malati e il più basso tasso di «attrazione» dei pazienti da zone circostanti. Almeno così si legge nel dossier, elaborato dal ministero del Welfare, per valutare i sistemi sanitari regionali sia dal punto di vista dei bilanci (scoprendo conti in profondo rosso in quasi tutto il Mezzogiorno), sia da quello dell’efficienza delle prestazioni (al Sud mediamente più bassa che al Nord).
Ma ci sono almeno due categorie di malati calabresi che possono evitare viaggi della speranza: una è quella di chi ha problemi ai reni, l’altra di chi soffre di malattie del sangue.
La nefrologia e l’ematologia dell’ospedale di Reggio Calabria, infatti, sono due centri di eccellenza, riconosciuti anche fuori dai confini del nostro Paese. «Il responsabile dell’Unità operativa di nefrologia, il professor Carmine Zoccali — commenta Leone Pangallo, ex direttore generale dell’Azienda ospedaliera di Reggio Calabria —, è anche segretario del Registro europeo del rene ed è direttore del Cnr.
In collaborazione con l’urologo Pietro Cozzupoli ha creato un centro trapianti di rene all’avanguardia (esegue anche trapianti da vivente, ndr). Dalla scuola di ematologia sono nati, invece, un centro trapianti del midollo osseo che accoglie, con la collaborazione dell’Istituto oncologico di Sabratha, pazienti provenienti dalla Libia e una banca del cordone ombelicale, una delle poche esistenti nel Mezzogiorno.
Un’altra considerazione merita una sottolineatura: nel triennio 2006-2008, anni di grande crisi nella sanità calabrese, le prestazioni dell’Ospedale di Reggio Calabria sono cresciute, mantenendo un sostanziale equilibrio di bilancio».
Il caso calabrese non è unico. Nel Sud della sanità discussa che spesso diventa malasanità ci sono isole di eccellenza che non ti aspetti. Come quella del dipartimento di chirurgia vascolare del Policlinico di Messina, creato dieci anni fa e diretto da Francesco Spinelli, docente universitario con un’esperienza professionale alle spalle, prima a Roma, poi a Parigi.
«Ogni anno — spiega Spinelli — pratichiamo circa ottocento interventi che vanno dalla chirurgia dell’aneurisma dell’aorta con endoprotesi al ’salvataggio’ di arti destinati all’amputazione, in pazienti, per esempio diabetici». Per quest’ultimo tipo d’intervento, il case mix (è un indice che dà un’idea della complessità della casistica trattata nella struttura rispetto a quella trattata in altre strutture di riferimento) è 3,2, il più alto del Meridione (un’eccezione se si tiene conto che 1 è la normalità e che i tecnici del ministero del Welfare hanno scritto, nel loro rapporto, che «Calabria e Campania hanno i case mix più bassi d’Italia, salvo lodevoli eccezioni, che ci sono»).
E il dipartimento messinese è una lodevole eccezione, ma che richiede una grande fatica. «Non c’è un sistema che aiuta chi vuole lavorare — commenta Spinelli —. Chi cerca di far funzionare i reparti lo fa per amor proprio e deve contare sulla buona volontà dei singoli. Molte delle nostre difficoltà nascono da un’incapacità di gestione: dove la capacità esiste, come all’ospedale San Raffaele di Cefalù, tanto per citare un’altra realtà siciliana, si può offrire una buona sanità».
Un’altra «eccezione» è l’Ismett di Palermo, l’Istituto mediterraneo dei trapianti, frutto di una partnership internazionale fra la Regione Siciliana e l’University of Pittsburgh Medical Center: nato nel 1997, è oggi un punto di riferimento italiano (insieme a Bergamo) per il trapianto di fegato, soprattutto pediatrico (879 interventi nel 2008), e di polmone (anche nei pazienti sieropositivi per l’Aids).
Così il Sud ha cominciato a sperimentare nuovi modelli di collaborazione fra pubblico e privato (anche oltre i confini nazionali) e a coniugare assistenza e ricerca, come da anni stanno facendo molte strutture del Nord.
A Brindisi, dove esiste un polo distaccato dell’Università di Lecce, la ricerca va a braccetto con la cura dei malati, grazie all’Isbem, l’Istituto scientifico biomedico mediterraneo, nato dieci anni fa: una piattaforma interdisciplinare che comprende 25 istituzioni (fra cui: università, Cnr, Asl, banche) capace di dare vita a progetti di ricerca e formazione con ricadute, appunto, per la cura dei malati. «La nostra convinzione è — commenta Alessandro Distante responsabile scientifico dell’Isbem — che non si può migliorare l’assistenza se non si fa ricerca.
Tanto per fare un esempio: abbiamo studiato alcuni biomarker che possono essere predittivi di una dissecazione dell’aorta. L’idea è di individuare la patologia con un semplice esame del sangue. Su questi temi di studio abbiamo attivato rapporti di collaborazione con centri del Nord, in particolare con l’Ospedale di San Donato, a Milano. È la ricerca, anche quella privata, che può migliorare il sistema sanitario-assistenziale. Al Nord le strutture private pubblicano sulle riviste scientifiche, a Bari no, ma se lo facessero sarebbero di stimolo per il Policlinico, che è pubblico».
Anche a Pozzilli, provincia di Isernia, Neuromed, l’Istituto neu­rologico mediterraneo (di ricovero e cura a carattere scientifico, un Irccs) la clinica (con centri di riferimento per il Parkinson, la sclerosi multipla, le cefalee) è a stretto contatto con il parco tecno­logico, dove si fa ricerca sul sistema nervoso in collaborazione con istituzioni internazionali del calibro dello Sloan Kettering Cancer Center di New York o della Harvard Medical School di Boston.
Migliorare l’assistenza significa anche frenare i viaggi della spe­ranza o come dice l’Assr, l’Agenzia per i servizi sanitari regionali, i «ricoveri in mobilità» che si aggirano attorno al milione l’anno. E spesso riguardano i tumori.
Proprio all’estremo Sud dell’Italia, all’ospedale di Ragusa, esiste una divisione di oncologia medica di tutto rispetto: è la prima istituita nel nostro Paese (nel 1976) e vanta il più antico Registro tumori (insieme a quello di Varese) creato sul territorio nazionale.
«Proprio per la nostra posizione geografica — commenta Carmelo Iacono, direttore della Divisione e neoeletto presidente dell’Aiom, — il registro offre una fotografia dell’epidemiologia dei tumori nell’area mediterranea: qui, l’incidenza della malattia è più bassa che nel resto d’Europa, ma la mortalità rimane alta. Per questo, accanto alle cure, stiamo cercando di intensificare i programmi di prevenzione e di diagnosi precoce».

Adriana Bazzi – [email protected]

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