di
Giosuè Carducci (1835-1907)

Frate Francesco, quanto d’aere abbraccia
Questa cupola bella del Vignola,
Dove incrociando a l’agonia le braccia
Nudo giacesti su la terra sola!

E luglio ferve e il canto d’amor vola
Nel pian laborioso. Oh che una traccia
Diami il canto umbro de la tua parola,
L’umbro cielo mi dia de la tua faccia!

Su l’orizzonte del montan paese,
Nel mite solitario alto splendore,
Qual del tuo paradiso in su le porte,

Ti vegga io dritto con le braccia tese
Cantando a Dio – Laudato sia, Signore,
Per nostra corporal sorella morte! –

In questo sonetto, che rispetta la metrica ed il ritmo classico del genere, Giosue’ Carducci, in pellegrinaggio alla Basilica di Santa Maria degli Angeli, edificata nel punto in cui San Francesco d’Assisi morì sulla nuda terra, rivolge una suggestiva preghiera; il Poeta supplica il Santo di far scorgere una traccia del suo volto e di far ancora echeggiare nel paesaggio a lui familiare la sua melodiosa e serena accettazione della morte. La struttura bipartita del sonetto ben si presta a mettere in risalto la descrizione ammirata del luogo e l’evocazione della realtà spirituale che sottende.

Antonia Chimenti

Categorizzato in: