di Wilma Vedruccio

Arriva all’improvviso, di soppiatto. Poi penetra nel cuore e lo fa suo.
Cavalca un alito di vento, una gradazione di colore, un suono appena udibile, lontano, un’ansia senza ragione, un ricordo che ti sfugge.
Pretesti, biglietti da visita, per mascherare il piglio da conquista.
Quando s’è fatta strada, non c’è da opporle resistenza, diventa padrona della tua psiche, la conduce, la abita come casa sua e tu sei in sua balìa, diventi un corpo attraversato da una corrente, da una malinconia che non ti spieghi. La vita tua di sempre non giustifica questa intrusione, questa nostalgia improvvisa, una malesciana a cui non sai dare una ragione. Cerchi nei sogni una spiegazione, un legame con quello che ti capita a occhi aperti ma ti sfugge il bandolo, non ti raccapezzi. Vai indietro nei ricordi ma anche lì non trovi chiara una ragione, frammenti, schegge senza storia, niente che abbia la dimensione di questo tuo sentire che non vuoi. No, ti ha preso troppo forte il cuore per giustificarlo con episodi da niente.
E’ come se tu presti te stesso, il tuo dolore (sì, un dolore dolce) a una umanità sofferente. E’ come se all’improvviso soffri per tutti i poveri del mondo, o per tutti i malati, e gli orfani, le vedove di guerra, per coloro che partono e vanno lontani senza prospettiva di ritorno, come un amore.
E’ un dolore intenso e dolce, una nostalgia di cielo che non c’è, per un orizzonte troppo lontano, per un odore buono che non si sente più, per un albero abbattuto, per un animaletto finito sotto l’auto.
Ti avvolge come una intercapedine, una gabbia che ti esclude dal mondo che hai attorno, con i suoi problemi o seduzioni, per trasferirti in un altro tempo o dimensione, un tempo forse arcaico, degli avi, dei progenitori, al tempo dei Primati? Di cui non abbiamo più memoria? Chi lo sa.
Saudade è chiamata in Portogallo, lì dove il mare è gonfio di orizzonte, dove una nave che parte è come un’anima che va verso l’ignoto, senza ritorno. Per noi diventa nostalgia, na malesciana che non sai, una malinconia che non addomestichiamo, uno struggimento immotivato che arriva all’improvviso e poi ci lascia piano, spossati da questo sentire universale a cui non eravamo preparati.
Come se si fosse scardinato il portone dell’io che ci protegge e fosse entrato il mondo, la pietà di esso, compassione allo stato puro senza la mediazione di ciò che ci sostiene, un cavallo di Troia nel regno del sentire personale per condividere la pena dell’intera umanità.

Wilma Vedruccio
La casa del sale, Storie di un altro Salento, Kurumuny, 2013, p. 134

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