A Roma ‘L’angolo del dandy’ alla Casina delle Civette di Villa Torlonia dal 4 aprile al 6 maggio
Luigi Pontani, Erik Satie, Luchino Visconti e Karen Blixen lo erano senz’altro e il loro personalizzato “angolo del dandy” (che ha come icona una delle vetrate), mostra promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico-Sovraintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale e dall’Associazione Culturale ‘La coda dell’occhio’, è ben rappresentato alla Casina delle Civette a Villa Torlonia. Pontani e la trasparenza, Satie e il suo “placard”, Visconti e la sua eccessiva economia e la Blixen con i fiori del suo campo. Si tratta di quattro grandi personalità europee del mondo delle arti che per la loro opera, le loro scelte e soprattutto il loro stile di vita rientrano nella categoria dei Grandi Dandies.
L’esposizione ben organizzata ricostruisce il profilo dei quattro artisti con particolare attenzione ad alcuni aspetti meno noti della loro personalità/attività/produzione e prevede settimane ”monografiche” con eventi ispirati a ciascun personaggio e al linguaggio artistico che lo caratterizza (Letteratura, Arti figurative, Musica, Cinema). L’esposizione propone anche una riflessione sul dandismo come filosofia esistenziale e gesto estetico-etico.
“Chi è il dandy, quest’unico testimone di se stesso? E’ un indefinita differenza, un angelo decaduto conscio delle difficoltà di esistere nell’epoca della globalizzazione e dell’appiattimento; è qualcuno che cerca la propria libertà nello specchio del nulla; è uno che non sta mai da nessuna parte… Pensare di poterlo identificare in modo univoco reca il rischio di vederlo svanire al bivio tra realtà e astrazione, vita e sogno della vita.
Si tratta, magari, d’intravederlo, di scorgerne per un solo momento lo sbiettante profilo; di seguirlo lungo strade periferiche, dai margini labili, lontane dalla via regia che incanalando le sorti della società e la storia, del mondo economico, politico e ideologico.
E’ un percorso lungo due secoli, quello che qui s’imporrebbe alla scoperta di segni lampeggianti come fuochi fatui sulle necropoli della cultura occidentale. Percorso sul filo non di una qualche ermeneutica che non potrebbe sostenere lo spirito leggero del dandy, ma della scrittura; nel caso, quella di una “certa” letterarietà: dove dandismo e poesia s’identificano (1)”.
E’ così, infatti, per i quattro artisti presentati. Di Luigi Ontani -La trasparenza del dandy- troviamo gli studi per le vetrate del Palazzo dei Capitani della Montagna, sede del Comune di Vergato (Bologna) che rappresentano il ciclo della vita e i quattro elementi naturali: terra, acqua, aria e fuoco. Come tutti i grandi dandies formula la sua storia e fonda la sua avventura sull’ambiguità dell’identità e della maschera. Per lui, la maschera “di scena” e la foggia della quotidianità forniscono ugualmente prospettive all’arte.
Di Erik Satie –L’armadio del dandy– grande musicista, noto per il suo amore per l’esoterismo, è riproposta la sua stanza a Montmartre, da lui chiamata “le placard”, l’armadio tanto era piccola. Chiamato “velvet gentleman” per i suoi sette vestiti di velluto a coste tutti uguali, “Monsieur le pauvre”, Signor Povertà, per vent’anni portò sempre lo stesso vestito e, quando pioveva, proteggeva l’ombrello sotto la giacca: era un grande camminatore notturno.
L’angolo dedicato al grande regista Luchino Visconti è di colore verde, lo stesso colore della tappezzeria dello studio di Mario Praz, suo grande mito. Vi si trova la divisa indossata da Helmut Berger nel film “Ludwig”, disegnata da Piero Tosi e realizzata dalla famosa sartoria Tirelli. Visconti era famoso per le cifre esorbitanti che faceva spendere ai produttori per realizzare i suoi film, raffinati fino all’eccesso. Per Ludwig pretese più volte che lo champagne, in una scena girata a tavola, fosse della giusta temperatura: lo stesso Umberto Orsini, protagonista della sequenza, dichiarò che sentiva più aderente alla realtà la sua recitazione!
Infine, Karen Blixen. La sua casa fra Copenhangen ed Elsinore, dove c’è il castello detto “di Amleto”, era un’antica locanda secentesca, che la scrittrice volle trasformare –e nel 1958 vi riuscì– in una zona protetta, una riserva naturale per gli uccelli migratori: “Sopra, nella campana a rovescio di un vaso di cristallo, la composizione floreale imita la fantasia della padrona di casa, che adorava creare mazzi armoniosi e sorprendenti con i fiori e le piante verdi del parco.
Casa Blixen
I vasi da fiori a Rungstedlund sono tanti e tutti molto belli. Uno, di ceramica bianca decorata d’azzurro, dalla curiosa forma piatta a ventaglio, compare in un quadro fatto da Karen nel 1920, intitolato Natura morta con civetta impagliata, esposto in una piccola stanza di passaggio detta “galleria”, ma che –quando lei e i fratelli erano piccoli– veniva adibita a stanza dei giochi “ (2). “Io credo che i fiori siano un miracolo della natura”. Karen Blixen ama realizzare delle composizioni floreali originali, che poi distribuisce in tutte le stanze della casa. “Ogni volta ho la sensazione di dipingere un quadro”. “Piccoli oggetti affettivi sono appoggiati tutt’intorno: (…) un prezioso vaso rosso per un fiore solo dove era sempre infilata una rosa (quella che riceveva quotidianamente da un caro amico, uno dei suoi “vecchi ragazzi” adoranti, Erling Schroeder. Tornata dal suo giro trionfale di conferenze negli Stati Uniti, durato tre mesi, all’inizio del 1959, si lamentò con lui di non essere amata in Danimarca quanto lo era in America. “Dimmi che mi ami”, gli chiese al telefono. “Ho bisogno di sentirmelo dire”. Erling rispose non facendole mai mancare una rosa nuova al giorno fino alla morte, tre anni dopo) (…) Prima di spirare lo volle vicino al letto quel vasetto rosso col fiore, per avere qualcosa di fresco da guardare (2)”.
Fausta Genziana Le Piane
(1) Stefano Lanuzza, Vita da dandy, Stampa alternativa, 1999.
(2) Sandra Petrignani, La scrittrice abita qui, Neri Pozza Editore, 2002.
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