Teheran
di Nella Condorelli
Di che cosa parliamo, quando parliamo di diritti umani, oggi, nel mondo globale? Quando parliamo di diritti delle donne? Quando parliamo di civilta’? Davanti alla fotografia che women in the city ha scelto di pubblicare come foto di copertina, non ci sono risposte in grado di dare risposte.
Oltre l’orrore che pure ci sovrasta, e ci rende mute, di fronte a qualsiasi esecuzione capitale; oltre l’inquietudine che ci afferra al petto di fronte al gesto di un boia che da’ la morte, guardando la foto di questa donna sul punto di essere lapidata, nell’Iran degli ay-
tollah, e fermata dall’obiettivo nel momento del seppellimento da viva, quella che ci scoppia in testa e’ soprattutto una pena selvaggia.
Pena per quel volto contratto nella smorfia di una paura violenta, che si trasmette a noi con la disumana brutalita’ dell’impotenza, e pena anche per noi, donne e uomini del secolo ventunesimo, che predichiamo la vita mentre pratichiamo la morte, chi direttamente, chi scientemente e chi per somma ignavia.
La notizia. Tre giorni fa, secondo quanto pubblicato dal gionale di Teheren “Etemad-Melli”, otto donne sono state condannate alla lapidazione, per reati di varia entita’. Il quotidiano fa anche il nome delle condannate, tutte detenute in diverse carceri del Paese, riportando che “due di loro sono rinchiuse nella prigione di Evin a Teheran, e le altre nelle prigioni di Sepidar ad Ahwaz, di Tchobine di Ghazvine, di Varamine (un sobborgo di Teheran) di Tabriz, e di Oroumieh.”
Tra le donne condannate ci sarebbe anche Mokkarame Ebrhraimi, condannata alla lapidazione, insieme al suo compagno, per una relazione extraconiugale di quindici addietro, nonostante la coppia si sia poi unita in matrimonio, ed abbia due figli, oggi di 11 e 5 anni.
Il caso di Mokkarame e del suo compagno aveva suscitato una forte protesta internazionale nel corso dei lavori dell’ultimo G8 in Germania, provocando la reazione della cancelliera Angela Merkel, e la richiesta alle autorita’ di Teheran di sospendere e commutare la pena.
Raggiunti da una piogga di petizioni contro pena di morte e lapidazione, le autorita’ iraniane avevano in un primo tempo acconstito a sospendere l’esecuzione della sentenza che, secondo quanto previsto, avrebbe dovuto aver luogo a mezzanotte dello stesso giorno, nel cimitero cittadino, con la partecipazione degli abitanti.
La sospensione della pena, pero’, e’ stata ritrattata tre giorni addietro, e l’uomo, Amir Kiiari, e’ stato lapidato come previsto dal codice penale iraniano per gli uomini, cioe’ seppellito sino alla vita, le braccia libere, per un ultimo, inutile e disperato, gesto di difesa.
La notizia delle otto condanne capitali per lapidazione ha provocato un’ondata di proteste in tutto il mondo, e l’appello della Commissione Donne del Consiglio nazionale della resistenza iraniana alle Nazioni unite e a tutte le organizzazioni di difesa dei diritti umani, “perche’ condannino i crimini di questo regime medioevale, ed adottino misure idonee a porre fine a questi comportamenti inumani.”
“Dietro queste condanne”, ci dice Sarvnaz Chitsaz, presidente della Commissione Donne CNRI, “c’e’ un vero e proprio piano: gli ayatollah mirano a creare panico e timore nella popolazione, per spegnere ogni anelito alla protesta con il ricorso a punizioni crudeli e arbitrarie, frutto di un’uso ambiguo e distorto dell’islam, piegato solo ai propri interessi di bottega e di potere.”.
Meeting di San Rossore. L’appello delle iraniane, annunciano le donne dell’Associaizone Donne Democratiche Iraniane, sara’ diffuso anche a San Rossore, durante la tavola rotonda dedicata ai diritti delle donne, il prossimo 20 luglio, nell’ambito del Meeting internazionale sui diritti delle donne e dei bambini promosso dalla Regione Toscana e dall’Unicef.
Alla tavola rotonda, moderata dalla giornalista Rula Jebreal, con la presenza della ministra Barbara Pollastrini, parteciperanno infatti anche Farideh Araki Karimi, rappresentante del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana in esilio e, in videoconferenza da Auvers sur Oise, la stessa presidente Maryan Rajavi. Al centro del suo intervento, il rapporto tra l’ islam e l’emancipazione delle donne, e l’analsi del fondamentalismo misogno degli ayatollah, causa dell’inferiorita’ attuale delle donne iraniane.
Commenti