un approccio teatrale alternativo

recensione teatrale di Maddalena De Leo

E’ intitolato Shakespeariana (ovvero) viaggio nel repertorio di un grande autore lo spettacolo teatrale allestito dalla Compagnia del Giullare di Salerno che il regista Andrea Carraro ha proposto la sera di sabato 2 aprile 2006 presso l’Auditorium della Fondazione Alario di Ascea Marina (SA) per celebrare ancora una volta sul palcoscenico l’arte poliedrica del grande drammaturgo di Stratford-upon-Avon.
Con pochi espedienti scenici e una scenografia essenziale rappresentativa del teatro inglese del ‘500, lo spettatore viene subito immerso nell’epistemologia elisabettiana di cui lo stesso regista-portavoce evoca a parole i modi e le regole. E a questo punto si parte per un viaggio, un viaggio mentale che, se indubbiamente ha un itinerario “sui generis” scandito in maniera pedissequa dall’accompagnamento quasi virgiliano dei commenti di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (che sulla opera shakespeariana scrisse un poco conosciuto saggio critico), allo stesso tempo assolve a una funzione didascalica e di iniziazione a quelli che sono segmenti inconsueti e poco rappresentati dell’apparentemente scontata produzione shakespeariana.
Vengono infatti recitati e interpretati in maniera successiva dai tre bravi e giovanissimi attori non i prevedibili passi tratti dall’Amleto, da Romeo e Giulietta o dal Macbeth ma piuttosto alcune pagine immortali dei drammi storici (tratte dall’Enrico V, da Giulio Cesare e Riccardo II), che si alternano ad altrettanti momenti teatrali “ispirati” (appartenenti al Mercante di Venezia, alla Bisbetica domata, alla Tempesta), di per se funzionali alla destabilizzazione del “climax” e tesi comunque, tutti, a creare degli splendidi “a solo” inquadrati in un’originale sequenza.
Il filo conduttore che lega il percorso tracciato su proposta dell’autore de Il Gattopardo si riconduce però sostanzialmente ad un’idea-base, quella del potere, analizzata in tutti i suoi aspetti: se da un lato è la sete di potere a dominare le azioni di Enrico V, dall’altro è il potere della parola di Antonio che convince la folla romana nel Giulio Cesare, avendo poi la meglio sull’ebreo sull’ebreo Shylock e rendendolo più che mai piccino e degno di castigo, mentre è il potere mal gestito a decretare la condanna e la deposizione di Riccardo II. Ma ancora è il potere dell’amore ad avere il sopravvento su un personaggio anodino come la Elena di Tutto è bene quel che finisce bene, il cui monologo-mea culpa nei confronti dell’amato (Atto III, fine sc. II) diviene all’improvviso la perla nera di questa già rilucente collana teatrale..
Uno spettacolo alternativo, allora, costruito su piani nascosti di intersezione il cui punto d’incontro si concretizza nella citazione finale del contemporaneo Borges.
E’ infatti con lo spirito del bardo di Stratford, riprodotto sempre con aspetti diversi in ognuno dei suoi tanti personaggi, che il partecipe spettatore viene infine a compenetrarsi, riuscendo solo con fatica ad abbandonare quel repertorio inesplorato che in meno di due ore gli è stato mostrato.

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