Nel 1641, a 45 anni, Cartesio scrive:
Bisogna infine concludere, e tener fermo, che questa proposizione: Io sono, io esisto, è necessariamente vera tutte le volte che la pronuncio, o che la concepisco nel mio spirito”.
(Meditazioni metafisiche)

Je pense, donc je suis, aveva già annunciato il filosofo nel Discorso sul metodo, quattro anni prima; cogito, ergo sum ribadirà nei Principi di filosofia, tre anni dopo.
Sono le formulazioni della “prima e più certa conoscenza che venga alla mente di chiunque filosofi con ordine”: la certezza folgorante del proprio esserci, verità originaria.
Noi possiamo arrivare a dubitare di tutto: delle nostre sensazioni, di ogni idea e assunto scientifico, dell’esistenza di Dio e delle cose intorno a noi, di possedere mani, piedi, occhi, che due più due faccia sempre quattro e che un triangolo abbia davvero tre lati… Ma non possiamo dubitare del fatto che stiamo dubitando e, dunque, pensando. Come Archimede invoca una leva “per togliere il globo terrestre dal suo posto e trasportarlo altrove”, così Cartesio necessita di “un sol punto fisso e immobile” sul quale fondare l’edificio della conoscenza: tale è, per l’appunto, la certezza di esistere come pensiero, di essere “una cosa che pensa” (affermazione che gli varrà la sferzante ironia di Pierre Gassendi). Questa convinzione non scaturisce da un ragionamento deduttivo del tipo:
– tutto ciò che pensa è;
– io penso (in quanto, aristotelicamente, “animale razionale”);
– dunque, io sono.
Piuttosto, la sicurezza di esistere ci si presenta nella sua abbagliante evidenza soltanto nel momento in cui il nostro pensiero è in atto, cioè mentre stiamo pensando; allora siamo colti dalla fulgida intuizione che non si può pensare se non si esiste.
“Penso, quindi sono” è una proposizione chiara, distinta e perciò innegabile. E’ l’improvvisa deflagrazione dell’autocoscienza.
Poteva, Cartesio, produrre un effetto analogo con espressioni del tipo : “io parlo, quindi esisto”, “io alzo il braccio, quindi esisto”, “io ho paura, quindi esisto?”.
Alcuni filosofi, come Domenico Massaro, hanno risposto di no. A loro parere, questo genere di affermazioni non mette al riparo dall’errore e dall’inganno, come accade, ad esempio, quando si crede di compiere delle azioni e invece si sta sognando. Mi permetto di far osservare che “io parlo, quindi esisto” significa in realtà “io penso di parlare, quindi esisto”. Se credessi di parlare ma, al contrario, mi trovassi immerso in un sonno profondo, certo m’ingannerei. Ma cosa sarebbe quell’inganno onirico se non pensare? Se sogno, esisto! Non si può sognare senza esistere!
Io credo che Cartesio abbia scelto il cogito come formulazione generica, e perciò riassuntiva, di tutte le possibili e infinite determinazioni del pensiero autocosciente, tra quelle la più suggestiva ed efficace. Ciascuna di esse, tuttavia, afferma perentoriamente, ancorché implicitamente, l’essere del soggetto pensante. Ce lo conferma il filosofo stesso nella Seconda Meditazione: “Io esistevo senza dubbio, se mi sono convinto di qualcosa, o se solamente ho pensato qualcosa”.

Cristiana Bullita

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