Di attività strambe a cui la gente si dedica se ne sentono parecchie. Quando però una di queste fa capo a un gruppo di scienziati, forse vale la pena prestare un po’ di attenzione e capire di che si tratta, soprattutto quando la notizia è riportata anche sul sito del MIT di Boston. E’ il caso di un esperimento in corso nel deserto dell’Arizona, che interessa un’area circoscritta (una fascia di 100 metri di cielo, a circa 20 km di altezza) e che consiste nel liberare molecole di varie sostanze (acqua, ma anche titanio, carbonato di calcio e polvere di diamante) nell’atmosfera, grazie all’utilizzo di un pallone aerostatico. Potremmo anche scambiarli per sognatori sotto mentite spoglie immaginandoli lì a spruzzare polvere di stelle tra le stelle, ma forse un po’ sognatori questi scienziati lo sono davvero, perché lo scopo di questo esperimento è quello di verificare, immettendo in atmosfera sostanze normalmente non presenti, la possibilità di schermare i raggi solari. Si calcola infatti, come riportato dal sito di politiche energetiche e ambientali Carbon Brief, che tra poco più di 4 anni il Pianeta avrà raggiunto un altro dei punti di non ritorno verso cui lo stiamo rapidamente facendo rotolare: sarà infatti impossibile per l’anidride carbonica presente in atmosfera mantenere l’aumento della temperatura globale entro il grado e mezzo, designato come “soglia di pericolo” nello scorso Accordo di Parigi.
Ecco perché l’operazione bizzarra promossa dall’Università di Harvard per la modica cifra di 20 milioni di dollari si avvicina molto a un sogno… un sogno che per molti rimane a cavallo tra la fantascienza e l’impercorribilità, ma che vale forse comunque la pena di perseguire con determinazione, prima di tutto perché l’effetto cumulativo delle emissioni di carbonio prodotto da attività umana implica che esso rimanga in atmosfera per oltre un secolo e, se possiamo accettare come attenuante che le previsioni non siano del tutto precise, di certo non possiamo ignorare che esiste una scadenza a brevissimo termine, che impone di affrontare la questione e di farlo a livello globale (sorvoliamo in questa sede e per decenza sul commento alle recenti decisioni americane…). E’ qui dunque che entra in campo la geoingegneria, un insieme di interventi di larga scala sui processi naturali, proprio per contrastare i cambiamenti climatici: in questo caso, schermare le radiazioni solari sembra essere la strada primaria da percorrere anche se, come afferma uno dei geologi che partecipa al progetto, Daniel Schrag, già consigliere di Obama, “la possibilità che in questo modo si evitino gravi danni sembra abbastanza ridotta e il meglio che potremmo fare non sarà comunque abbastanza”.
Ciò che si vuole provocare è un effetto simile a quello causato dai vulcani in eruzione, quando chilometri cubi di materiali oscurano il cielo: occorre però trovare il materiale e la quantità ideale, ed è uno scoglio decisamente ambizioso, in particolar modo pensando alle conseguenze che potrebbe avere. Se la soluzione si rivelasse percorribile, significherebbe che periodicamente aerei militari vaporizzerebbero nell’atmosfera le particelle della sostanza individuata e l’operazione dovrebbe essere regolata globalmente anche a livello governativo. L’idea non sostituirebbe di certo l’impegno per la riduzione dei gas serra, ma permetterebbe di tamponare conseguenze peggiori. Sono prospettive analoghe a quelle di cui già Unimondo vi ha parlato, per esempio con la soluzione futuribile delle fattorie nell’oceano, e che si rivelano particolarmente urgenti soprattutto per l’allarme nell’area Artica, che continua a far registrare temperature massime record e dove l’estensione dei ghiacci è ai minimi storici, con ovvie e terribili conseguenze anche per la biodiversità della fauna locale. E’ ovvio che la cancellazione della legislazione climatica di Obama da parte del neopresidente Trump stenda inquietanti prospettive sul nostro cammino, specialmente alla luce del fatto che miliardi di persone potrebbero fare esperienza nel breve periodo di situazione climatiche finora sconosciute e non familiari, esito di una perdita di equilibrio tra una tendenza di lungo periodo e una fluttuazione di variabilità naturale a favore della prima (emergency point). Ed è questa una delle ragioni che ci spinge a contemplare anche le idee che ci sembrano più impraticabili e che forse, tra pochi anni, ci appariranno necessarie e irrinunciabili alla luce delle sfide che l’umanità dovrà affrontare e che ci obbligano a considerare interventi rapidi e inusuali a fronte degli enormi rischi per il Pianeta e per le generazioni future. (Anna Molinari 22 giu 2017).
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