ritratto della scrittrice più anticonformista del Novecento italiano
di Alessia Mentella
Bella, intelligente, modello di donna nuova libera da schemi e pregiudizi, autrice di un’opera stimata da tanti come la “bibbia del femminismo”, Sibilla Aleramo viene giustamente considerata una delle figure più originali ed anticonformiste della letteratura del Novecento
Nel XX secolo nasce e si intensifica sempre più la produzione letteraria e poetica ad opera delle donne. Tale fenomeno viene generalmente inserito all’interno del quadro di modernizzazione della civiltà italiana ed europea contemporanea, ma soprattutto viene associato al processo dell’emancipazione femminile e al cambiamento dei rapporti fra uomo e donna.
Nonostante non esista ancora una storia della letteratura italiana femminile, molte rappresentanti di essa, da Sibilla Aleramo ad Elsa Morante, da Grazia Deledda ad Anna Maria Ortese e Natalia Ginzburg, fanno parte delle più alte e significative sfere della nostra produzione letteraria.
Il filone letterario “al femminile” si apre, nel nuovo secolo, con l’opera di una scrittrice che nel panorama generale spicca per la sua scrittura innovativa, per la sua vita intensa e per le sue molte storie sentimentali. Sibilla Aleramo, al secolo Rina Faccio: bella, intelligente, modello di donna nuova libera da schemi e pregiudizi, autrice di un’opera stimata da tanti come la “bibbia del femminismo”, Sibilla Aleramo viene così giustamente considerata una delle figure più originali ed anticonformiste della letteratura del Novecento.
Il suo primo romanzo, l’autobiografia Una donna, pubblicato nel 1906, è considerato una testimonianza della condizione femminile dell’epoca ed è il primo libro femminista apparso in Italia. Una donna è la prima opera firmata con lo pseudonimo di Sibilla Aleramo ed è anche quella che le ha donato da subito la notorietà, delineando la sua immagine pubblica e privata. Il romanzo infatti riscosse successo e la sua pubblicazione suscitò l’interesse della società dell’epoca: il testo, commovente e provocatorio allo stesso tempo, animò per più di un anno il dibattito culturale italiano.
L’opera, che racconta la vicenda umana della scrittrice, non è una semplice autobiografia né un diario, ma è considerata una riflessione spietata e acuta sul proprio passato, una sorta di “autoanalisi” letteraria. In ventidue brevi capitoli la protagonista, partendo dagli anni spensierati della sua infanzia, arriva al tempo della prima stesura del romanzo, quando cioè avrà già lasciato suo marito e suo figlio.
Rina infatti, dopo aver subito uno stupro da parte di uno dei dipendenti che lavorano nella fabbrica del padre, viene costretta a sposare quest’uomo con un matrimonio “riparatore”, un matrimonio senza amore da cui nascerà il suo unico figlio che per molto tempo rappresenterà la sua unica salvezza.
La solitudine, il disprezzo per il marito, l’atmosfera chiusa e gretta della provincia la spingeranno, dopo un tentato suicidio, a ritrovare conforto nella scrittura. L’autobiografia si trasforma così in un percorso di formazione che, nell’arco di dieci anni, porterà la scrittrice ad una maturazione: deciderà infatti di lasciare definitivamente la famiglia e il suo adorato figlio.
Nel 1902 Rina lascia il marito e il figlio e si trasferisce a Roma per inseguire la sua vocazione letteraria ma soprattutto la sua libertà e indipendenza. Per l’abbandono del tetto coniugale Sibilla, secondo la legge, perde ogni diritto sul bambino e per questo il distacco diventa ancora più doloroso e drammatico, un allontanamento che per lei risulta essere però necessario. In realtà questo romanzo viene scritto dalla Aleramo proprio per il suo amato figlio, perché un giorno possa leggere la storia di sua madre e capire fino in fondo le sue tormentate scelte. Tema centrale del libro rimane perciò la maternità che nel romanzo viene ampiamente trattato.
Scrivendo la sua storia Sibilla definisce di nuovo anche la sua immagine, riportando in superficie il valore profondo del suo percorso. Una donna è, come la stessa autrice spesso lo ha definito, il libro del suo passato che rappresenta dunque allo stesso tempo la nascita ad una nuova vita, è l’annuncio del futuro: la donna Rina lascia il posto alla scrittrice Sibilla. Lo stesso pseudonimo che Rina sceglierà e con cui firmerà questa e tutte le sue successive opere, cancellerà d’ora in avanti e per sempre il suo nome e il cognome del padre e del marito.
La perdita del nome rappresenta una cesura netta con il suo passato e coincide con la nascita della sua “seconda vita”, come lei stessa amava definirla, una nascita di certo violenta e non naturale costellata da abbandoni dolorosi. Il libro va dunque letto per la vicenda che narra ma soprattutto per il modello di donna nuova che cerca di proporre.
La scrittura è la via che l’autrice ha scelto per affermare se stessa e la sua identità di donna e il romanzo, esito finale di un’esperienza di vita, diviene un modello universale di riscatto. L’itinerario intellettuale e privato di una sola donna assume in questo modo, come già rivela il carattere generale del titolo stesso, Una donna, il ruolo di testimonianza e di documento di denuncia.
Nel romanzo infatti, specchio della società italiana a cavallo dei due secoli, la Aleramo, con occhio critico, analizza buona parte dei problemi delle donne della sua epoca. E il valore di “romanzo femminista”, intuito già alla sua pubblicazione, favorì probabilmente il grande successo di pubblico e di critica.
Alessia Mentella
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