sulla mia schiena sgangherata / trionfa la ridda dei minuti
Nella raccolta “Finestre affascinate ardenti stanze”, la sensibile anima di Simonetta Giungi oscilla tra l’amore per la vita e il male di vivere, tra apertura e chiusura che la dilaniano e lucidamente la consumano.
La dolente visione del mondo si esplica attraverso uno sguardo posato “tormentosamente” su “luoghi e parole”: la contemplazione è fatta talvolta di piccole visioni colorate (ore colorate, somma dell’iridescenza, mucchio d’indaco; stazioncine affondate a piè dei colli; squarcio rosato), talvolta della constatazione dell’ineluttabilità del vivere (nonostante noi/ancora se ne viene/l’alba), talvolta ancora di solitudine, di stanchezza, di noia o di rassegnazione o di naufragio (naufragante sull’impossibile) e talvolta ancora infine di dubbi, di interrogativi insoluti (questa è la pace allora veramente?), di predilezione per il buio (mi cura il buio), di delirio (il cuore precipita).
Tutto si consuma in una stanza, che dà il titolo ad una sezione della raccolta, luogo lontano da ogni curiosità, che è il proprio sé, chiuso, tuttavia aperto all’esterno poiché le finestre di questo interno danno sul mondo di cui Simonetta subisce il fascino.
La stanza – casa interiore – è una scatola, un guscio che protegge l’io della protagonista, sofferente, assimilato alla parete, raggomitolato, in un angolo, in preda allo spleen (certo io sono senz’esserci ed assisto).
La stanza deserta – l’io il tu il bene velle, il qui contrapposti al fuori, alla finestra – è una conchiglia ove tutto confluisce e fluisce, ove tutto è vissuto sulla pelle (ardente) di una sensibilità esasperata.
Simonetta definisce la sua solitudine sacra: il silenzio della stanza, preludio di apertura alla rivelazione, accompagna la prova che la Poetessa, come in ogni rito d’iniziazione, deve sostenere, il passaggio tra la vita e la morte, tra la morte e una nuova nascita.
Dicono le regole monastiche che il silenzio è una grande cerimonia che avviluppa i grandi avvenimenti nel segno del progresso e del cambiamento.
si ma che c’entro io in tutto questo
ripeteva l’uomo capitato a caso
un giorno nella mia stanza deserta
ed io stessa svegliandomi la notte
mi trovo a dirmi questa stessa cosa
a tutto ciò che è disancorato
alla mia vita deserta
all’ex ipotesi sogno e situazione:
che c’entro io in tutto questo ormai
ma che io c’entri mi viene dimostrato
subitamente da un male che io provo:
mentre lo dico mi si straccia l’anima
ancora e ancora si straccia molte volte
è come un foglio ch’io gettassi via
forse è per questo che si è amati postumi
perché davvero ci si può entrare
Fausta Genziana Le Piane
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