Naila, la sorella di Rania, medico siriano scomparsa con i suoi sei figli nel 2013 a Damasco, in questi giorni in Italia con Amnesty International
ROMA – “Sono ancora vivi? Avranno fame? Staranno calmi o piangono?”. Domande a cui la giovane Naila Alabassi, siriana, non trova risposta. A marzo 2013 la sorella Rania, stimato dentista di Damasco, insieme ai suoi sei bambini, Dima, Entisar, Najah, Alaa, Ahmad e Layan – fra i 3 e i 15 anni – sono stati prelevati sotto casa dalle forze militari del regime di Assad, sparendo nel nulla. Da quel momento Naila e i suoi famigliari chiedono notizie, ma nessuno dice loro dove siano e di quale reato sia accusata la sorella. In questi giorni la donna – che da anni vive in Arabia Saudita insieme ai genitori e agli altri 7 fratelli – è in Italia grazie al sostegno di Amnesty International, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle sparizioni forzate in Siria. Il suo caso, spiegano dall’Ong è emblematico perché si tratta del primo caso in cui una donna e i suoi bambini vengono portati via. Per questo Rania è fra le persone inserite nella campagna mondiale sui diritti umani ‘Write for rights’, lanciata lo scorso 5 dicembre da Amnesty, che si batte per il rilascio di persone imprigionate o sotto processo, vittime di tortura o di sparizioni o a rischio di diventare “spose bambine”. A oggi, le firme raccolte a sostegno della sua liberazione incondizionata insieme ai suoi bambini è di 116.586 firme, ma ne servono 130 mila. Firme, spiega Amnesty, che poi saranno presentate al rappresentante siriano presso le Nazioni Unite.
“Inizialmente -racconta all’ANSA Naila- non sapevamo chi potesse avere prelevato mia sorella. Gli uomini della sicurezza di Assad? I ribelli?”. Non era chiaro. Pochi giorni prima, però, il marito di Rania, Abdelrahman, era stato portato via, senza alcuna spiegazione, da un gruppo di militari armati. “Il giorno dopo – prosegue la donna – i militari sono tornati e hanno preso tutto quello che hanno trovato in casa: gioielli, passaporti, documenti, telefoni cellulari, computer, anche il tablet dei bambini. Poi hanno distrutto le telecamere di sicurezza del palazzo. E due giorni dopo hanno portato via Rania e i bambini, li hanno fatto salire su un’auto e da allora nessuno ha più avuto notizie di loro”. Le autorità siriane “si sono rifiutate di fornirci alcuna informazione su cosa sia avvenuto o dove siano lei e i suoi bambini attualmente”, afferma Naila, anche lei medico. Nessuna certezza, ma soltanto informazioni ricevute pagando, impossibili da verificare. Un mercato fiorente in Siria, come denuncia Amnesty in un recente rapporto. “Sono riusciti a chiederci 300 mila dollari, una cifra per noi insostenibile”. Si commuove, mentre racconta della sorella, studentessa brillante, poi medico affermato. “Grazie al suo lavoro era riuscita a comprarsi una casa a Damasco e a mettere su una clinica. Aiutava i più bisognosi, curandoli gratuitamente”. Una cosa proibita dal regime, sostiene. Potrebbe essere questa la motivazione della sua sparizione. Avere curato ribelli? “Rania – assicura – non appartiene ad alcun partito e non ha mai protestato contro nessuno”. La preoccupazione è anche per il marito di Rania. “Penso sia morto – dice con voce rotta – è fra quegli 11mila volti ritratti da ‘Cesar’, nome in codice del fotografo della polizia militare siriana, incaricato dalla burocrazia di catalogare le immagini delle vittime della repressione, che ha scelto di tradire il regime, facendo arrivare in Occidente 45mila immagini di persone torturate e uccise nelle carceri di Assad. “Vedi – avvicina il cellulare, questo è Abldelrahman pochi giorni prima di scomparire – questo è lui da morto”. Oggi Naila sarà ricevuta dal presidente della Commissione diritti umani del Senato, Luigi Manconi, mentre venerdì – dopo una serie di incontri pubblici a Bologna, Perugia e all’Università di Roma La Sapienza – sarà ricevuta alla Farnesina. (Cristiana Missori, 15 dicembre 2015).
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