(Adnkronos) – A settembre arrivera’ infatti in Italia un bambino pakistano di 6 anni, sfigurato sul volto e sul corpo a causa di un incidente domestico. ”Il piccolo -spiega all’ADNKRONOS Clarice Felli, direttrice dell’associazione- sara’ operato al Sant’Eugenio”. La Provincia di Roma ha stanziato per la cura di questo bambino un fondo che permettera’ di prendere un posto letto in ospedale per tutto il tempo necessario.
”La nostra battaglia -ha raccontato la Felli- e’ iniziata quattro anni fa durante un viaggio in Bangladesh. Li’ mi resi conto dell’opera prestata da alcuni volontari inglesi dell’ associazione ‘Acid Survival’ e decisi che anche l’Italia doveva fare qualcosa per combattere una pratica ignobile e tanto diffusa come questa”.
”Gettare acido sul volto di giovani donne -spiega ancora Clarice Felli- e’ considerata solo un gesto di violenza. La religione non ha nulla che vedere. Purtroppo fino a pochi anni fa non si andava neanche in galera per questo”. Grazie all’azione di questi volontari lo stato del Bangladesh ha preso atto nel 2002 del fenomeno sociale e ha istituito una legge che prevede l’ergastolo e nei casi piu’ gravi anche la pena di morte per chi si macchia di qesto reato. ”Nulla di tutto questo -aggiunge la responsabile dell’associazione- si e’ ancora realizzato in Pakistan e in Nepal. E’ la nostra prossima
sfida”. (segue)

VITTIME DELLA DISCRIMINAZIONE VIVONO AI MARGINI DELLA SOCIETA’

(Adnkronos) – Il fenomeno degli attacchi con l’acido e’ una realta’ che riguarda le zone sottosviluppate del Bangladesh, del Pakistan, dell’India e del Nepal. L’80% della popolazione vive in
zone rurali, non gode di un’istruzione ed e’ priva di mezzi di comunicazione. Le donne che vivono in questi luoghi, fin da bambine subiscono le conseguenze della discriminazione. Nel caso in cui in una famiglia ci siano due figli, maschio e femmina, il primo ha l’opportunita’ di andare a scuola mentre la donna no e nel caso in cui venga ‘acidificata’ perde anche il lavoro e vive ai margini della societa’.
Ritrovare la propria identita’ sociale e’ lo scopo che si e’ prefissa ‘Smile again’, che non rivolge il suo lavoro solo al coinvolgimento delle istituzioni italiane ma che cerca di sollevare anche l’opinione pubblica locale. Ad aprile scorso, infatti, sono state effettuate le prime due operazioni nell’ospedale ‘Shalamar Hospital’ in Pakistan. (segue)

AGIRE SULLA CULTURA E SULLA SOCIETA’ LOCALE PER ELIMINARE IL PROBLEMA

(Adnkronos) – ‘Smile again’ si avvale dell’aiuto di medici italiani che, gratuitamente, prestano la loro opera in Italia e nei paesi interessati da questo fenomeno. Tra loro Francesco Bellezza, direttore del Centro ustioni del Sant’Eugenio di Roma, Roberto Dell’Avanzato e Giuseppe Lo Sasso. Tornare a sorridere, guardarsi nello specchio o piu’ semplicemente riuscire a chiudere nuovamente le palpebre degli occhi, sono le conquiste che i volontari riescono a regalare a queste ragazze. Come racconta la direttrice di ‘Smile Again’ ”questa violenza si puo’ combattere solo agendo sulla cultura del luogo”. ”E’ per questo che mi avvalgo del sostegno di alcuni imprenditori locali in Pakistan e in Nepal che collaborano per aiutare queste donne”.
E’ questo il caso di un’imprenditrice pakistana che gestisce 14 centri di bellezza in tutto il paese e che ha messo ha disposizione dei volontari di ‘Smile Again’ le sue strutture per curare gratuitamente tutte le persone che ne fanno richiesta.

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