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Nota di Claudio Angelini sul Corvo Frecciaa 4 - SONETTO 
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Dalla prefazione di Giuseppe G. Castorina su “Venti sonetti”

[…] Claudio Angelini coglie pienamente una delle funzioni di questo “breve ed amplissimo carme”, quella di stimolo all’impiego creativo delle risorse e delle potenzialità della lingua d’arrivo, superando quella che è la maggiore difficoltà nel tradurre un classico. Infatti, ritradurre un classico impone responsabilità in qualche modo specifiche e diverse da quelle di chi traduce per la prima volta, o da chi traduce un testo moderno. E’ soprattutto in virtù della rima che queste traduzioni dei sonetti non sono pura trascrizione, semplice perifrasi o trasferimento del contenuto ma costituiscono il punto di arrivo di un percorso ermeneutico e traduttivo che riesce a colmare distanze linguistiche, stilistiche, culturali e a far apprezzare aspetti fomali che sono di primaria importanza, come emerge anche dal sonetto XCIX, in un certo senso anomalo poiché ha 15 versi con lo schema ABABA CDCD EFEF GG invece dei 14 del modello regolare, con lo schema ABAB CDCD EFEF GG. Tra le spiegazioni possibili, la più convincente è che Shakespaire compose intenzionalmente un sonetto sperimentale, utilizzando il primo verso come introduzione per dare maggior forza alla presentazione di un tema, l’assenza dalla persona amata, che collega il sonetto, tra l’altro, ai due precederti. Il sonetto di 15 versi è stato impiegato da altri poeti dell’età elisabettiana che in genere, diversamente da Shakespeare, inseriscono il verso sovranumerario prima del dittico finale, come fa del resto Angelini.[…]

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Ch’io mai ponga alle nozze impedimento
d’anime schiette; è forse amore vero
quello che muta ad ogni mutamento,
o si ritrae, se l’altro è passeggero?

Oh no, l’amore è un saldo e fisso segno
che guarda le tempeste e resta immoto,
stella che guida ogni vagante legno,
si sa quanto alta, ma il valore è ignoto.

Non è zimbello al Tempo Amor, ma assale
la curva falce roseo labbro e volto;
rimane Amor con l’ore brevi, uguale
finché al Giudizio il mondo sia dissolto.

Se questo è errore, contro me provato,
nulla ho mai scritto, e mai nessuno ha amato.

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SONETTO 73

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Tu puoi scorgere in me quella stagione
in cui le foglie, rade, gialle, pendono,
finché scompaiano, dai rami, ed essi
squassati si contorcono dal freddo,
vuoti e corrosi cori d’una chiesa
su cui prima s’udiva il dolce canto
degli uccelli. Tu vedi in me il crepuscolo
d’un giorno luminoso che sbiadisce
dopo il tramonto, ad ovest: la nera
notte via lo trascina, a poco a poco,
identica alla morte, che sigilla
tutte le cose nell’oblio. Tu vedi
l’ardore in me d’un fuoco, agonizzante
sulle ceneri della giovinezza
che fu sua, come sopra un letto funebre
ove presto s’estinguerà, consunto
da ciò che lo nutriva. Ecco, tu questo
lo percepisci, e se ne fa più forte
l‘amore tuo, più intensamente amando
colui che lascerai, fra poco tempo.

*** *** ***

Dalla prefazione di Giuseppe G. Castorina su “Il Corvo”

[…] L’attenzione agli aspetti formali del testo fonte caratterizza anche la traduzione de Il Corvo di E.A. Poe, composto nel 1844 e pubblicato nel 1845 nella raccolta The Raven and Other Poems. Il poema riscosse grande successo popolare e di critica e diede allo scrittore la celebrità. La traduzione rende egregiamente gli effetti della ripetizione a contatto e a distanza di parole-chiave e riproduce o ricrea molti dei parallelismi fonetico-semantici e altri stilemi caratterizzanti della poesia orale, e come auspicava Poe la versione italiana rende leggibile la storicità del testo insieme con la sua poesia e può essere apprezzata sia dal pubblico sia dalla critica anche indipendentemente dal testo fonte. Stanza dopo stanza Angelini affronta e colma la distanza linguistica e stilistica dell’originale, nproduce la poetica poeana, un registro che può essere apprezzato dalla gente comune e allo stesso tempo dalla critica. Stanza dopo stanza i versi suscitano un sentimento di malinconia rafforzato dalla rima tautologica, dall’anafora del nome Leonora che rima con ogn’ora, finora, adora e dal ritorno del refrain che conclude ognuna delle stanze col monotono e sconsolato “ormai non più”, espressivamente vicino all’inglese “nothing more”. […]

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Una mezzanotte lugubre, meditavo stanco e cupo
su volumi strani e insoliti di sapienza ora in oblio:
dormicchiavo, lì assopito, quando un battito improvviso
giunse, come se qualcuno, piano, urtasse l’uscio mio.
“È un viandante che -pensai- bussa piano all‘uscio mio;
solo questo, altro non più.”

Ah, ricordo chiaramente, era il rigido dicembre,
e riempiva d’ombre, languido, ciascun tizzo il suolo ognora.
Attendevo ansioso il giorno, perché i libri alcun conforto
non mi davano al cordoglio per la morta Leonora,
per la chiara, eletta vergine che fra gli angeli è Leonora
e qui nome non ha più.

Il fruscio mesto, di seta, d’ogni tenda viola inquieta,
m’assillava di terrori come mai m’era successo:
mi levai, col cuor tremante, ripetendomi a ogni istante:
“E’ in viandante che di casa cerca supplice l’ingresso,
qualche tardo pellegrino che alla casa chiede ingresso;
certo è questo, e nulla più.’’

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… per informazioni: Claudio Angelini email 1 - SONETTO 
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