di Gina Labriola
Roma, ArtEuropa 2006
recensione di Eleonora Bellini
Rinnovata nella grafica e parzialmente rivista nel contenuto esce la seconda edizione di Storie del pappagallo, briosa ed irriverente raccolta poetica (con qualche prosa) dell’autrice lucano –parigina. Gina Labriola, infatti, vive tra Parigi e Chiaromonte, in provincia di Potenza, sua terra d’origine, unendo– distinguendo, con occhio disincantato ed ironico, due mondi, due culture. E facendo tesoro anche degli altri “mondi” attraverso i quali ha trascorso periodi lunghi o brevi della vita: la Persia dello Scià, Barcellona, la Normandia, talvolta Roma.
Il titolo del libro, curioso e originale, è chiarito sia dall’autrice nello scritto introduttivo “Seguito delle mille e una notte: pettegolezzi e magie di pappagalli”, che da Luciana Gravina, brillante prefatrice della raccolta: “… favole, quasi favole, aneddoti, storie vere e pettegolezzi in un palcoscenico dove si muovono personaggi umani, strani animali, poltrone che fanno l’amore, campanile e sessi che fioriscono e ramificano, tutti abilmente pilotati dall’inesauribile curiosità del pappagallo che spia la vita nella sua complessità, nel suo fascino dell’intrigo tra bene e male e non può fare a meno di raccontarla” (p. 10).
Tra le poesie della raccolta molte sono d’amore, e spesso di tagliente dissacrazione della figura maschile nel rapporto amoroso: un atteggiamento di critica e autocritica consapevolezza, non tanto in chiave femminista –atteggiamento estraneo all’autrice- quanto, mi pare, di presa d’atto di differenze “naturali” e culturali, non sempre colmabili dalla purezza e dall’autenticità del sentimento, tra il maschio e la femmina della specie umana. Ne è un esempio la poesia “Per farmi amare”(p. 36), con la quale si conclude questo breve scritto di invito alla lettura di tutta la raccolta:
Per farmi amare
volevo preparargli
una cena speciale.
Mi gettai in mare…
Anzi, veramente,
non proprio nel mare,
ma in acqua, in compagnia di aragoste
presuntuose
con tutta una panoplia
di inutili tenaglie,
corna, crosta, zampe corazzate
e stupite trote, votate al sacrificio.
Mi offrirono a lui
come una trota in un letto d’insalata.
Ammiccavo col pepe in un occhio
un ciuffo di prezzemolo in bocca
un domino di maionese,
per non svelarmi troppo presto.
“E’ un sapore che conosco!”
disse, e sputò una lisca di rimorso.
“Questo pesce non è fresco,
sentenziò, vedete che anche il gatto…”
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