indrusa - SULLE 
 ORME DELLA NOSTRA ANIMA: IDRUSA
edizioni KURUMUNY
Il testo è accompagnato da un CD (audiolibro)

Wilma Vedruccio è salentina. Ha insegnato nella scuola elementare per tutta la sua vita lavorativa. Innamorata della sua terra, usa la scrittura per recuperarne e difenderne le bellezze.
Mi regala un suo libricino accompagnato dalle musiche di Rocco Nigro intitolato Sulle orme di Idrusa: un dono prezioso e raro che mi ha fatto scoprire una figura mitica femminile indimenticabile, Idrusa.
Protagonista del racconto di Wilma è, infatti, Idrusa, personaggio di donna otrantina creata da Maria Corti e trasfigurata dalla storia nel mito. Quella raccontata da Wilma è quasi un’epopea e Idrusa ha la potenza di un’eroina della classicità: è senza età, non è soggetta alle categorie del tempo e dello spazio, incarna l’archetipo di donna proviene dal passato e si proietta indomita nel futuro.
Leggendo, percorro le tappe della sua vita, dall’infanzia all’innamoramento, dal matrimonio all’ardimento, alla seduzione ed è come se mi scrutassi in uno specchio, ché Idrusa era nome di donna. Emblema di lotta alla rassegnazione e all’ipocrisia, non sa mentire, né subire, né rinunciare, simbolo del riscatto femminile non la interessano i giochi delle femminucce, le loro chiacchiere, le loro storie. Idrusa spinge a cercare il fanciullino nascosto in noi, la fonte della poesia di cui sa lo stupore, la meraviglia, la curiosità fatti del volo di volatili ubriachi, d’aria e di sole, a cercare di ristabilire il rapporto inesauribile con la natura, di cui, lei, conosce tutte le fasi naturali, respirando odori, immagini, profumi, suoni, coinvolgendo tutti i sensi. Insomma, Idrusa a sognare ancora…
Questa figura mitica ha un rapporto particolare con il mare:

Il mare la salvò da quella morte
il mare dove lei ogni giorno moriva.
Si lasciava andare al ritmo delle onde per ore
si lasciava trasportare, si perdeva.
Piano il mare lavava il suo animo dalle impurità
e curava piano le ferite.
Dopo lunghe nuotate si sentiva rinata.

Il mare è il simbolo dinamico della vita. Tutto esce dal mare e tutto vi ritorna: luogo delle nascite, delle trasformazioni e delle rinascite. I primi due versi delle strofe proposte sono emblematici: acque in movimento, il mare simboleggia uno stato transitorio tra il possibile ancora informale e la realtà formale, una situazione di ambivalenza, che è quella dell’incertezza, del dubbio, dell’indecisione e che può quindi concludersi bene o male. Da qui il mare è contemporaneamente l’immagine della vita e quella della morte (il mare la salvò da quella morte/ il mare dove lei ogni giorno moriva).

Idrusa-mare-mito:

Mi piace Idrusa quando tu lavori in silenzio
attenta a vigilare il filo
perché non s’ingarbugli
in inutili o insolubili nodi.

Dice giustamente Ernst Jünger che non conosce il mare, chi non ha visto Nettuno: senza mito non c’è né passato né futuro.
L’accompagnamento musicale della fisarmonica alla voce narrante di Wilma conduce verso risonanze e radici antiche ma anche popolari: echi di vibrazioni passate e future.

Fausta Genziana Le Piane

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Prima puntata

All’epoca Idrusa era nome di donna, non d’ostello. Nome antico.

Era cresciuta fra le barche del porto
e i cespugli della macchia
appena fuori il paese.

Le altre bambine nei vicoli del borgo
si allenavano
al loro mestiere di donna
facevano esercizi
di sorda rassegnazione e di ipocrisie fra pari.
Lei no.
Non aveva appreso quel mestiere
non aveva imparato a mentire
a subire, a rinunciare…
E si può capire.
Le barche a riposo, con la pancia al sole,
stese su i banchi delle posidonie
era lo scenario dei suoi giochi
al pari dei maschi del paese
non delle bambine.
Annoiavano la piccola Idrusa
i giochi delle femminucce
nei cortili assolati
le loro chiacchiere, i loro dispetti
le loro storie.

Aveva seguito con occhi inacantati per ore
il volo frenetico di volatili ubriachi
d’aria e di sole
aveva fatto lunghi esercizi di sogno
senza cose sognate
appesa alle ali di superbi gabbiani
e di acute ed attente poiane.

Aveva respirato gli odori
che a primavera affollano l’aria
intorno alla macchia
aveva imparato a distinguere il timo
dalla santoreggia
il ginestrino dal cisto
senza sapere il loro nome.
Si era appropriata del loro codice
come un piccolo animale.
E conosceva le erbe
le mille erbe selvatiche
che in aprile
si affrettano a spigare
perché il sole di maggio possa poi
seccare il loro seme
dialogava con esse.

Aveva a lungo combattuto Idrusa
con la paura di andare e
la voglia di scoprire
che coabitavano nel suo cuore.
Più volte aveva tremato alla vista di serpi e sacare
che fra erbe e cespugli rubavano il sole
ma sempre aveva ricacciato indietro
l’atavico timore
perché davanti a lei
c’era un fiore
aveva intravisto un uccello in lontananza.

continua

http://www.youtube.com/watch?v=6H8LErnzct0&feature=youtu.be

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