Lo scrittore Tahar Ben Jelloun ha successo in Italia: lo provano le traduzioni di molte sue opere che è facile trovare in tutte le librerie.
Tangeri, una cattiva giornata, di vento e di solitudine. Nella propria camera dai muri screpolati, macchiati di umidità, nella sua grande casa dalle numerose stanze inabitate dove, patriarca irascibile, a lungo ha regnato, il vecchio si annoia: “la vecchiaia è il vuoto che si installa nel corpo e tormenta la mente. Accettarla, significa dichiararsi vinto, finito, è dare le dimissioni e partire senza avere una parola da dire”; “la noia, è quando la grande ripetizione delle cose diventa lancinante, è quando la stessa immagine, si impoverisce a forza di essere sempre là”.
Il tempo che passa, i figli ingrati, la compagna “Sua moglie è una “sceriffa”, una principessa araba, discendente dalla stirpe del profeta Mohammed. Se avesse voluto, sarebbe potuta diventare una santa. E’ stimata per aver una mano che fa del bene, capace, per esempio, non soltanto di allontanare il malocchio, ma anche di estirparlo dalla persona una volta che le è stato gettato. Quante volte ha avuto bisogno del suo urgente intervento quando sentiva salire in lui la febbre e la stanchezza, due segni che annunciavano la presenza del malocchio. Armata di un ramo di alloro dalle foglie toccate dal fuoco, dice le sue preghiere fino a sentire il male uscire dal corpo affaticato, attraversare il suo e poi scomparire, a colpi di sbadigli e di lacrime. Affinché il malocchio si annulli definitivamente, è necessario remunerare la “sceriffa”, la principessa, con un soldo o un pizzico di sale. Lui la “pagava” col sale. Lei avrebbe amato un gesto più generoso”, gli amici assenti o morti, le medicine imbecilli che getta nella pattumiera per orgoglio. In alcuni momenti tutto provoca la sua rabbia, in altri sono le immagini di una donna o di una ragazza che inonda il suo petto con i capelli sciolti. Si ricorda anche delle gambe delle ragazze, dei seni di una domestica, troppo liberi sotto il velo leggero dei vestiti. Perché immagina talvolta la vecchiaia liberata dal desiderio? Pensa anche ai giorni vicini in cui le dita tagliavano abilmente la stoffa e in cui tutti ammiravano la sua destrezza di sarto. Perché non ha mai fatto fortuna? E’ arrivato troppo tardi a Tangeri?
Il narratore, quando riprende la parola, ritorna duramente sulle inclinazioni tiranniche del vecchio, il gusto per le parole che feriscono e uccidono: il suo egoismo imperante e le esigenze di ogni istante: “Il vento è naturale, ma l’avarizia? E’ un modo di essere, uno stato della mente, una visione del mondo. Non si nasce avari, si diventa: sopporta il vento e i suoi disastri, non l’avarizia e le sue meschinità”.
Sfilano allora piccoli avvenimenti della vita trascorsa: matrimoni, feste di famiglia, litigi, vicini ridicoli… Come la cronaca vera e attuale di un quartiere del Marocco.
E improvvisamente, benché non sia detto, si capisce che è un figlio che parla del padre, che è Tahar Ben Jelloun che parla del suo nell’immediata e patetica verità di un racconto.
Soprattutto, ci piace il personaggio della moglie, donna ribelle, aristocratica, positiva, piena di energia, che assume su di sé il male del mondo, che avrebbe bisogno di maggior considerazione, che ha poteri nelle mani, che guarisce senza chiedere nulla in cambio.

Brani tratti da “Giorno di solitudine a Tangeri” e tradotti da Fausta Le Piane

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