La storia di Cristo scandalizza sempre. Chiunque la racconti. In Passion il giudizio degli atei e quello dei credenti assolutisti salva il film. Nessun antisemitismo: del sangue innocente dell’uomo di Nazareth sono colpevoli tutti, Gibson compreso.
E’ solo un film. E’ un viaggio nel tempo. Una full immersion nel 33 dopo Cristo. Le persone che incontri dialogano in latino ed è facilmente comprensibile. La lingua è viva. La gente è vera. Angosciato, impaurito per ciò che l’aspetta, Gesù è per la prima volta un uomo. E’ questo che disturba. La consistenza umana di un Gesù uguale a noi nella capacità di soffrire. Fatto di carne e sangue.
Comunque lo si voglia considerare quell’uomo vissuto duemila anni fa, ha patito come noi avremmo patito al suo posto. Che lo si consideri il figlio di Dio, o un fanatico con qualche dote di chiaroveggenza, una cosa è certa: per la prima volta si eleva, in cambio della violenza gratuita, un insegnamento di altissimo livello filosofico e morale. E’ qui lo scandalo.
La Chiesa è divisa. Monsignor John Patric Foley, presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali spera in una copia in regalo dallo stesso Gibson per la biblioteca Vaticana, mentre il cardinale Jean-Marie Lustigerf, arcivescovo di Parigi ha definito La Passione un film sadico. Altrettanto ha fatto il giornale dei Paolini scrivendo che Passion e: “126 minuti di un’orgia di sangue, pieno di semplificazioni e svarioni storici”.
“It is as it was”, “così andarono le cose” avrebbe invece detto papa Woityla che lo ha visto privatamente.
In Italia il film è uscito senza divieti perché la Commissione di censura ha ritenuto che “in un periodo in cui il cinema ci rovescia addosso una fiumana di violenza sarebbe stato ridicolo e grottesco definire pericoloso solo questo film”.
Nessuno avrebbe scommesso un dollaro su questa nuova storia di Gesù. Gli executive di Hollywood, gli addetti ai lavori del mondo del cinema, descrivevano Passion come un’idea balorda di “quel matto di Gibson”, un capriccio, destinato al fiasco e alla perdita dei 25 milioni di dollari investiti dal regista.
Oggi che il film, negli Stati Uniti, di milioni di dollari ne sono già stati incassati 350 i pareri si contraddicono. Si osanna o si scredita la Passione di Cristo con argomenti opposti: da grande cinema spirituale a film truculento e presuntuoso. Gibson è descritto come il nuovo Michelangelo o come un megalomane che ha prodotto un anacronistico documento antisemita.
La nostra tv ha realizzato numerose interviste di personaggi autorevoli, tra questi Franco Zeffirelli, già autore di un film su Gesù, che si è detto convinto che da oggi in poi ogni integralista cristiano, che avrà visto Passion si sentirà autorizzato ad andare ad Israele per fare il kamikaze e farsi esplodere.
Al cinema, seguendo il film con attenzione, ho cercato il messaggio di vendetta di cui parla il famoso regista. Da quale scena potrebbero venir fuori i kamikaze? Non l’ho trovata.
In un’epoca di legge del taglione, la novità sta proprio nel fatto che questo singolare personaggio pronuncia frasi rivoluzionarie come: “Amate i vostri nemici”, usando un linguaggio di pace a tutti i costi con le parole. “Se amerete solo coloro che vi amano, qual è il vostro merito?” Questo modo non violento di porsi è inaccettabile per la mentalità dell’uomo di allora e di sempre
Allora quali pericoli incombono su di noi dopo Gibson? Cosa può capitare?
Forse si moltiplicheranno le notizie di pastorelli che in umide grotte vedono Madonne su nuvole di luce, o sorgeranno gruppi di auto-flagellatori vaganti, e fratelli di fede dell’ordine dei gibsoniani scalzi?
Nella peggiore delle ipotesi, se per Passion ci scappasse l’Oscar, subiremmo forse, insieme al successo del film, l’affollamento di invasati colti da improvvisi raptus di buonismo, nei reparti di neuropsichiatria degli ospedali, Ebbene? Dov’è l’allarme sociale in malati di mente che porgono l’altra guancia?
A nessuno verrebbe in mente di vendicarsi dopo aver visto il film. Nessuno potrebbe uscire dalla sala cinematografica pensando di fare del male a chicchessia. Il rischio è semmai che i più sensibili vadano ad abbracciare e chiedere perdono ai loro nemici di sempre. Il racconto prevede solo questa possibilità. Secondo le scritture. Interpretate in Passion in maniera così fedele alla storia da mostrare tutta la grande apparente inconciliabilità della natura umana e divina della figura di Gesù.
Eravamo abituati ad un Cristo che soffriva di una crocifissione mitigata, negli effetti devastanti sul corpo, dal suo essere divino. La spiritualità, il volto mistico e l’incedere solenne di Gesù attenuavano i nostri affanni. Ci ponevano, al cospetto del Cristo salvifico e spirituale come coloro che intuivano da un momento all’altro, la scelta del figlio di Dio di estraniarsi dalla sofferenza terrena per entrare ed uscire a piacimento dal corpo materiale.
L’aspetto sconcertante del film di Mel Gibson è l’esibizione della natura assolutamente terrena di Gesù, la perdita di ogni alternativa alla condanna di sofferenza. Insomma con Gibson non c’è scampo. Inesorabilmente si martoria il corpo di un uomo robusto e incrollabile. Resistente al peggio. Il surplus di crudeltà che si trova nelle sequenze del film è come nella vita. I colpi di legno o di frusta metallica, rendono la sua pelle una poltiglia indistinta di sangue e brandelli e gonfiori. Nelle sequenze sembra che la sofferenza abbia raggiunto il massimo possibile, si attende la fine dello strazio, per accorgersi subito dopo, che esiste il peggio del nostro limite di tollerabilità. Come nella vita. E allora solo la pietas riempie i nostri animi e le nostre menti. Per uscire dal supplizio l’unica via di scampo sembra la morte. Ecco perché gli ebrei, che nella storia chiedono la morte per crocifissione del Cristo, appaiono meno sanguinari e quindi meno colpevoli dei rozzi soldati romani. Quei soldati feroci e sadici infieriscono senza tregua sul corpo martoriato. Sono loro che fanno la peggiore figura. Si macchiano del sangue di Gesù. I loro volti schizzati, le mani imbrattate non concedono attenuanti alla visione malvagia.
Il tempo trascorre e chi osserva il film insieme con il Cristo desidera davvero che egli muoia per porre fine alle sofferenze. Ad un certo punto si desidera solo la morte di Gesù, perché finisca il dolore, il martirio. Tennis Byrne del Chicago Tribune ha scritto che in Passion “quello che coglie nel segno non è tanto la rappresentazione della violenza, ma quella di un livello di sofferenza mai visto prima. La distinzione è importante – ha aggiunto – Purtroppo ci siamo abituati alla violenza. Ma per fortuna non alla sofferenza”.
Per questo chiedo a chi si scandalizza per il film di Gibson: dove vivi?
Dove credi che si occulti la sofferenza umana del tempi moderni?
Conviviamo con una violenza, che siccome produce sofferenza ad altri, fingiamo che non esista. Gibson ce l’ha messa davanti agli occhi e noi non vogliamo saperne di accettare che esista il peggio del peggio. Nel film come nella vita.
Perché ci sentiamo così male a veder frustare il Cristo e la sera ceniamo tranquillamente tra film di morti ammazzati e reportage di sevizie ad innocenti?
Siamo diventati cinici giorno dopo giorno, film dopo film, documentario dopo reportage. Il tutto si mescola tra gli spaghetti e la frittata che abbiamo per cena, senza che nessuno ci rammenti che quel rosso che sgorga dai feriti di guerra è sangue, non salsa di pomodoro.
Purché siano gli altri a soffrire ci va tutto bene: bambini seviziati, donne oggetto di aggressioni inaudite, madri che massacrano i figli, criminali che vantano l’orgoglio pedofilo e pubblicano su Internet il loro patologico punto di vista con deliranti proclami.
Non avvengono forse oggi nel continente africano, quei ritrovamenti di bambini rapiti a cui vengono asportati tutti gli organi, a scopo di lucro?
Avremmo mai pensato un giorno che alla sofferenza umana sarebbe stato aggiunto “questo” peggio? Bambini dei quali si trova solo il busto aperto senza né fegato, né milza, né reni.La testa privata degli occhi. Che misura di crudeltà ha raggiunto tutto questo partendo da uno a cento? No. Non cento! Non è il massimo. C’è di più. Aspettiamoci di più dalle menti guaste che trovano giustificazioni e ospitalità presso i media. E’ una gara. Vince chi inventa il peggio mai immaginato.
Nel film di Gibson, quando credi che la misura è colma, ti accorgi che il male può anche straripare, andare oltre. Ti accorgi che sei stato ottimista, che c’è di peggio, e poi peggio ancora. Ma esiste in Passion un effetto espiatorio che giustificherebbe la sofferenza. L’effetto catartico del mondo greco, la purificazione dopo la rappresentazione della tragedia rappresentano l’ultima possibilità di salvezza di un mondo possibile e ancora umano. Offerta proprio dal film nelle parole: “Perdonali perché non sanno quello che fanno”.
Ci troviamo comunque nel 33 dopo Cristo.
Oggi c’è dell’altro. Attualmente nessun Dio misericordioso potrebbe perdonare a chi asporta gli occhi ad un bambino povero per darli, dietro pagamento ad uno ricco.
“Guai a chi scandalizza i bambini?” Che senso ha?. Oggi i bambini sono usati come pezzi di ricambio. Non fanno in tempo a scandalizzarsi, che già stanno dentro un involucro ghiacciato su un aereo da turismo verso una sala operatoria. I loro i pezzi buoni (occhi, reni, cuore) vanno via, pronti per il trapianto, veloci verso “il mondo civile”.
Mi piacerebbe guardare in faccia questi chirurghi e vedere che aspetto anno. Di più. Mi piacerebbe parlare con i genitori che sono pronti a pagare in dollari sonanti organi rubati. Vorrei davvero vedere di che pasta sono fatti. Se pungendoli esce sangue, o liquido verde. Mi piacerebbe assistere al dolore tutto indirizzato a se stessi, e al trapiantato; a quell’essere superiore, figlio o fratello o parente, degno di ricevere un paio di occhi strappati a un bambino che giace sul suolo africano, con il corpo svuotato, come, una vecchia automobile.
Una scocca inutile.
La perversione umana, trova sempre modi originali per esprimersi.
Che peso dovrà avere allora quella macina da mettere al collo per espiare buttandosi nell’oceano? Non esiste.
L’ultima possibilità di espiare è lì nel film di Gibson. Solo un film. In quei 126 minuti di Passione, dove ancora è ammessa la buona fede degli ebrei, dei romani. Del popolo ignorante. Ognuno credeva di essere nel giusto. Perciò ha senso il “Perdonali perché non sanno quello che fanno”.
Non credo davvero che oggi il Cristo lo direbbe. Non esiste perdono per quello che accade oggi. Abbiamo superato quella misura considerata il massimo tollerabile. E non è finita ancora.

IL PUNTO DI VISTA DEI GIOVANI

Ieri ho visto Passion. Il film è, a mio parere, una scommessa che il regista ha vinto alla grande, a partire dalle piccole scelte di ripresa e di recitazione puramente filmiche.
Mi riferisco all’espressività di tutti i visi, sia i protagonisti che le comparse; alla scelta del sonoro a tratti agghiacciante, agli scenari curati nei minimi particolari, come alla presenza dei flashback giustamente molto ristretti, e posizionati in modo da avere un chiaro filo logico con la trama, che scorre via molto rapidamente.
Durante questi brevi flashback si assapora il passaggio dalla scena cruenta alla pace dei gesti e dialoghi durante l’ultima cena.La serenità di quei momenti stride con chiasso, la violenza, il terrore del ripiombare nella passione. E’ solo questa la possibilità che ha il Cristo di staccarsi dal dolore, e dalla violenza sul suo corpo. Ci sono due letture in questi passaggi. Una sta a significare che ogni atto di violenza, di vile consegna del Signore nelle mani dei suoi carnefici ha un racconto pregresso che rammenta:”E’ tutto scritto. Attenzione sta avvenendo ciò che è previsto che avvenga”; l’altra è il chiaro dimostrare che il rifugio nel passato di Gesù, durante le insopportabili sofferenze fisiche, non ha nulla di divino ma è solo una semplice forma auto-consolatoria per condurre se stesso a in una dimensione mentale di recupero dei momento belli del passato Quei flashback sono alla nostra portata. Anche qui si nota una precisa scelta del regista di rendere il Cristo simile a noi.
Siamo andati in gruppo a vedere il film, dopo lunghe discussioni sull’opportunità di impiegare così un pomeriggio festivo oppure dedicarci a qualcosa di più divertente. Eravamo in otto, tra ragazzi e ragazze. La nostra età va dai diciannove ai ventitré anni.
Dei miei amici due hanno apprezzato il film per l’imponente scenografia e per gli effetti speciali, uno si è lamentato per il linguaggio in latino e aramaico.
Alcune amiche, mi hanno poi detto, che sono state sveglie per due notti di seguito dopo averlo visto, per l’angoscia che gliene è derivata.
Io ho trovato il film, non solo molto meno crudo del previsto, ma soprattutto plausibili le scene della tortura. ll mio giudizio è che è un grandissimo film, oserei dire un grande capolavoro
L’umanità di Gesù, il fatto che in quel momento a soffrire era un uomo (a prescindere dalle considerazioni di fede) ha per la prima volta veicolato il vero messaggio che la religione insegna male e poco: cioè, che l’uomo-Gesù ha realmente patito; non si è potuto esimere da sofferenze “mortali” per lasciare il mondo da creatura divina a cui la flagellazione non arreca dolore. Anzi, soffrire in questo modo per salvare verosimilmente l’uomo è il più grande messaggio di umanità, prima ancora di religione, che si possa dare. E se si togliesse qualcosa agli eccessi del film di Gibson in sostanza non si otterrebbe altro che un risultato uguale agli altri film di fede. Che restano film belli o brutti. Questo invece è più vicino alla verità.
Daniele Silvestri

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