Alle soglie dell’estate, si sa, l’informazione, deprivata dell’agenda parlamentare, attinge al repertorio meno nobile della cronaca. La sempre più esigua, a giudicare dai dati, frotta vacanziera si troverà coinvolta, anche quest’anno, nella narrazione dettagliata di episodi di omicidi, furti, rapine, violenza sessuale; tutti episodi che, non a caso, hanno per protagonisti spesso quei migranti che, in altra pagina degli stessi giornali, costituiscono il plotone agguerrito degli assaltatori delle nostre frontiere…
Nella calura estiva, dunque, tutto sembra invocare misure più severe di controllo, sebbene la percezione della sicurezza sia ambigua e attraversata da complesse variabili che, intrecciate ad arte, contribuiscono a creare un clima di ostilità e sospetto nei confronti del diverso. Perché ricordiamo tutto questo? Perché, anche quest’estate, le pagine si riempiranno di una cronaca nata ad uso e consumo del peggior voyeurismo che contribuirà a creare un clima di allarme diffuso di cui non abbiamo alcun bisogno. La percezione della violenza sessuale, per esempio: maltrattamenti, molestie, violenze sessuali sono caratterizzati da un numero alto e imprecisato, soprattutto quelle consumate all’interno delle pareti domestiche che, come sappiamo, costituiscono l’aspetto numericamente più rilevante e insieme quello che emerge con più difficoltà. Quanto conta, dunque, rispetto al formarsi della percezione di in/sicurezza diffusa, tutto questo? Il problema della violenza di genere riguarda, in prima istanza, quello della emersione: è la prima causa di morte delle donne fra i 14 e i 60 anni in tutto il mondo ma continua a non essere denunciata. E’ riconosciuta dalla comunità internazionale come una violazione dei diritti umani fondamentali, ma continua a rimanere un dramma oscuro consumato nel silenzio del proprio vissuto individuale.
E’ partendo da queste considerazioni che vogliamo restituire alla violenza contro le donne la centralità, nel nostro programma di governo, che riteniamo debba avere. Una centralità fuori dalle emergenze estive e dall’immaginario consolante della violenza di strada, del bruto occasionale che violenta nelle strade buie, preferibilmente straniero. Abbiamo bisogno di dare attuazione al Piano d’Azione Nazionale contro la violenza alle donne annunciato in Finanziaria (Art 1. Comma 1261), un Piano nazionale che, inquadrando la violenza maschile contro le donne come un problema strutturale di ogni società, come l’aspetto macroscopico del rapporto di potere sbilanciato fra le donne e gli uomini, interviene in maniera articolata predisponendo misure che guardano non solo all’aspetto della, giusta, repressione del fenomeno della violenza, ma investe soprattutto nell’azione di emersione, prevenzione e formazione di tutti i soggetti interessati. La Legge Finanziaria 2007 prevede infatti un Fondo Nazionale contro la violenza sessuale e di genere all’interno del quale destinare una quota parte per l’Osservatorio Nazionale contro la violenza sessuale e di genere e una quota parte da destinare al Piano Nazionale contro la violenza sessuale e di genere. In generale il fenomeno della violenza attiene al senso comune ed è il terreno culturale quello prioritario sul quale intervenire per suscitare significativi cambiamenti; tale acquisizione è la premessa fondamentale sia perché la collettività, attraverso gli operatori dei servizi di scuola, sanità, sociale, giustizia, forze dell’ordine, riconosca il fenomeno anche quando si presenta attraverso segnali impliciti sia perché le singole donne sviluppino la capacità di percepire e valutare come violenti atti e comportamenti eventualmente subiti.
La violenza contro le donne investe, come si vede, numerosissimi attori; è consequenziale allora istituire un Tavolo Interministeriale permanente, che si faccia garante di politiche di mainstreaming sul piano della violenza sessuale, di genere e per ragioni di orientamento sessuale. L’attuazione delle politiche di contrasto alla violenza sulle donne richiede una forte sinergia tra i diversi attori coinvolti (con particolare riguardo alla tessitura di rapporti sociali svolta dal volontariato), un attivo e fecondo rapporto di collaborazione tra lo Stato, le Regioni, le Province ed i Comuni, nell’ambito dei ruoli loro assegnati dal titolo V della Costituzione e, ispirandosi al metodo aperto di coordinamento vigente a livello comunitario, l’effettiva attuazione della funzione di indirizzo generale e monitoraggio propria dello Stato.
L’esperienza maturata dai Centri Antiviolenza dimostra che la costruzione di Reti è la procedura che consente la raccolta sistematica di dati, lo scambio di esperienze, la diffusione di buone pratiche; il Piano Nazionale Antiviolenza si propone di implementare la costruzione di Reti tra tutti i soggetti impegnati nel contrasto alla violenza, siano essi istituzionali o espressioni della società civile. Tra gli attori coinvolti un ruolo preminente sarà svolto, pertanto, dai Centri Antiviolenza e dalle Case Rifugio, luoghi da cui può partire un processo di diffusione di pratiche a livello nazionale, promuovendone la spinta verso i territori in cui non vi sia ancora alcuna attività di servizio, anche attraverso il tutoring a gruppi di donne, o la specializzazione di un servizio locale. Le reti locali che lavorano sul territorio contro la violenza sulle donne e sui minori diventano il punto di partenza per un modello nazionale di Rete, che utilizza e diffonde modelli già sperimentati nel territorio italiano e adottati come buone prassi. Questo prevede: misure adeguate di formazione e di finanziamento focalizzando l’acquisizione di approcci e modelli innovativi, l’analisi dei processi di intervento nei singoli servizi, l’integrazione e il confronto tra gli strumenti di lavoro differenti, la progettazione di azioni comuni di contrasto e di prevenzione.
Le linee di azione di tale Piano si propongono di apprendere dall’esperienza e da tutto ciò che è emerso dal lavoro importante di questi anni dei Centri, imponente nei tempi e nei luoghi della sua realizzazione. Dal recente Rapporto Nazionale della Rete antiviolenza tra le città URBAN-Italia emerge la necessità di passare ad un differente modello di intervento in cui rafforzare le strategie nazionali e mettere a punto un sistema che lasci spazio e ruolo alle Regioni ed ai Comuni, ma che, allo stesso tempo, si determini il contesto in cui possono operare ed il quadro di sostegno nazionale agli interventi. Vanno previste la promozione e la realizzazione di campagne di informazione e di sensibilizzazione, per facilitare l’emersione del fenomeno; vanno adeguate le programmazioni regionali per migliorare i sistemi locali, inserendo la priorità del tema e della sua presa in carico, sia nella fase di emergenza che in quella di uscita dalla violenza; si deve intervenire a livello preventivo su luoghi comuni e stereotipi, che alimentano la cultura della violenza, ne filtrano la percezione, distorcendola, minimizzandola, derubricandola, contribuendo in tal modo ad elevare il livello di tolleranza della violenza stessa, coinvolgendo la scuola ma anche i mass media, in considerazione della loro natura pervasiva e della profonda incidenza che essi hanno nella formazione dei modelli culturali. Scuola e mass media devono essere coinvolti nella promozione di una immagine non stereotipata della donna e dell’uomo, fondata sul rispetto della persona umana e della sua dignità che comincia dall’uso di un linguaggio correttamente sessuato e non neutro. Un Piano ampio e articolato, che guarda al problema della violenza in ogni suo aspetto. Solo così, crediamo, sia possibile intervenire efficacemente e vincere la battaglia più lunga e difficile che noi donne, da sempre, siamo costrette a combattere.
Donatella Linguiti, Sottosegretaria ai Diritti e alle Pari Opportunità
Agosto 2007, fonte: http://www.noidonne.org
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