Paolo Briganti, docente di Letteratura italiana presso l’Ateneo di Parma, nel corso della presentazione della biografia su Veronica Gambara, rilevò che ne parlavo in termini confidenziali, come di un’amica “lontana nel tempo”, dato che, ripetutamente, la chiamavo per nome.
Il fatto era puramente accidentale ma emblematico di un rapporto affettivo che si era stabilito con questo personaggio austero ma simpatico, vissuto in un’epoca ormai lontana. Il libro era nato da una ribellione contro un andazzo di cose che non approvavo. Mi riferisco alla tendenza intramontabile a relegare le donne in ruoli di comparse, anche nell’ambito degli studi storici. All’epoca assistevo a congressi, leggevo Atti di convegni e notavo la banalità di affermazioni generiche.
Lanciai una sfida a me stessa: mi imposi di confutare l’imprecisione di analisi che non coglievano la specificità dei personaggi e delle loro opere.
Riuscii a provare che “la mia amica” era una “voce” inconfondibile nel panorama poetico del ‘500 e che lo era indipendentemente dal “Petrarchismo” cinquecentesco e da Pietro Bembo che ne era il corifeo.
Dall’altra parte dell’Oceano, in Virginia, Ellen Moody, docente universitaria, specialista di letteratura femminile, avrebbe confermato a distanza di tempo l’esattezza della mia indagine.
Ho continuato, non senza ostacoli, la mia esplorazione, e nell’arco di dieci anni altre due amiche sono venute a far compagnia a Veronica: Isabella Morra e Renata di Francia (in corso di stampa). Isabella si colloca in un rapporto antitetico rispetto alla tranquilla signora di Correggio. La poesia di Isabella nasce da un terreno psicologico travagliato. Si nutre di sofferenza. Renata di Francia è affine a Veronica Gambara per interessi e orientamenti religiosi ed è in diretto contatto, per parentela, con quel “re Francesco”, cui Isabella rivolge appelli per poter riavere il padre, esule in Francia. Renata di Francia non compone poemi. Si limita ad offrire una testimonianza di coraggio nel lottare, con la “pacifica” ostinazione dei timidi, contro imposizioni arbitrarie (del marito, di Calvino, dell’Inquisizione), che non trovano riscontro nella sua coscienza. Subisce un processo(1) per eresia, ma ostinatamente persegue un progetto avveniristico di tolleranza religiosa.
A queste tre voci se ne uniranno altre, in un percorso di ricerca che è ispirato da un dovere civile e si trasforma in un esercizio di disciplina.
Antonia Chimenti
(1)Cfr. il mio intervento “Renata di Francia” (Convegno di Reading)
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