di Pina Nuzzo
immagine di Kathrin Hufen 1968
Ogni volta che ho notizia di una donna violentata, uccisa solo perché donna, sento un pugno nello stomaco.
Quante volte ancora dovrò sentire questo pugno? E sentirmi responsabile? Perché mi sento anche responsabile.
Mentre assisto al massacro di portata mondiale considero che non uso tutta la forza di cui potrei essere capace per modificare i rapporti. Ripenso alle parole di Luisa Muraro in “Dio è violent”.
Ci sono state fasi della nostra politica in cui abbiamo lottato per avere leggi adeguate contro il delitto d’onore, lo stupro e le molestie. C’è stato un momento in cui siamo scese nelle strade per riprenderci la notte. Dopo il delitto del Circeo.
Più recentemente abbiamo usato una parola nata altrove – femminicidio – pur di richiamare l’attenzione delle istituzioni e dei media sulle tante donne uccise “per amore”. Oggi questa parola è entrata nel linguaggio dei media, è diventata di uso comune, ma non basta.
Siamo ancora qui a contare donne uccise e ferite.
Questo crimine sarebbe cancellato da tempo se gli uomini lo avessero voluto, veramente. Non ci sarebbero stupri e violenze se la convivenza tra i generi fosse regolata nel rispetto dei corpi e delle loro differenze.
Ma non avverrà per caso, né per gentile concessione. Occorrono nuove lotte. Occorre uno spostamento: da un pensiero minoritario su di noi alla titolarità di noi. Trovare insieme una lingua nuova per parlare a noi e di noi.
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