Fino al 24 maggio alle Scuderie del Quirinale a Roma
rec. Fausta Genziana Le Piane
E’ confortante constatare che le sale delle esposizioni attualmente visitabili a Roma siano piene del vociare allegro delle classi di allievi a partire dalla scuola elementare fino alla scuola superiore. E’ auspicabile che professori sempre più motivati introducano i giovani alle bellezze delle opere d’arte e ai loro segreti. A questo proposito, le sale dedicate alla mostra sul Futurismo alle Scuderie del Quirinale, aperta fino al 24 maggio, brulicano la mattina di giovani affamati di notizie su questo movimento che in fondo riguarda e influenza la loro vita di oggi.
La mostra sul “Futurismo. Avanguardia-Avanguardie”, di cui ricorrono quest’anno i cento anni dalla pubblicazione del Manifesto di Filippo Maria Marinetti, è senz’altro ben organizzata anche se i quadri delle sale del primo piano non godono di una illuminazione che ne evidenzi a pieno le qualità pittoriche, nonostante le intenzioni “futuriste” degli organizzatori.
Le opere sono raggruppate secondo le tematiche sviluppate caratterizzanti il movimento: Luci, Stati d’animo, Suoni rumori odori, Tempi e ritmi, Linee-forza al primo piano, e al secondo Dinamismi, Cubismi, Orfismo, raggismo, verticismo e sincronismo, Architettura e memoria e Iniezioni di realtà.
Il manifesto di Filippo Tommaso Martinetti (L’arte non può essere che violenza, crudeltà e ingiustizia) è pubblicato sul quotidiano francese “Le Figaro” il 20 febbraio 1909 ed è una manifestazione d’intenti che sconvolge il mondo in tutti i settori, la letteratura, il teatro, il cinema, l’architettura poiché si fa portatore degli aspetti della società moderna improntata all’energia, al movimento, alla velocità e all’azione. L’era della macchina e della tecnologia entra nell’arte. E’ scandalo, infatti, la prima mostra futurista alla galleria Bernheim-Jeune a Parigi dove già dal 1906 si è stabilito Gino Severini.
A proposito di Parigi, rimpiango non solo la città viva di quegli anni che ha perso da tempo il suo posto egemone nella vita artistica mondiale ma anche la nascita di movimenti come il Cubismo, il Futurismo, il Surrealismo ecc che possano ancora offrire spunti di riflessioni innovative sull’arte.
Eccoli, dunque, i pittori futuristi presenti in galleria: Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Carlo Carrà e Luigi Russolo ma anche i grandi maestri del Novecento: Picasso, Duchamps, Braque, Léger, Delaunay, Malevic, Kupka, Picabia, Popola ecc. Su tutti spicca la pittura pastosamente colorata di Boccioni e Idolo moderno può a giusto titolo essere l’emblema della mostra e del Futurismo stesso: una donna in primo piano con un cappello coloratissimo guarda lo spettatore con occhi sgranati, decisi, volitivi. Tanto il cappello è luminoso, tanto il volto – pur trafitto da lame di luce che piovono dall’alto – è nell’ombra: sembra dirci che non possiamo fare a meno di guardare in faccia il nuovo mondo tecnologico che incalza e permea tutti gli aspetti della nostra vita, non possiamo sottrarci alle sue malìe. La bocca rossa della donna, di un colore acceso, è una seduzione alla quale non possiamo resistere, un richiamo irresistibile nell’oscurità delle belle tinte blu-violetto.
I pittori scelgono di rappresentare realtà nuove come le officine in Officine a Porta Romana (1909) sempre di Boccioni oppure il dirompere dell’elettricità in Notturno a Piazza Beccaria del 1910 di Carlo Carrà. Altrove, è l’espressione dei sentimenti: “Noi porremo lo spettatore nel centro del quadro” ed è ciò che avviene quando ci avviciniamo alla serie di Boccioni intitolata Gli addii, Quelli che vanno e Quelli che restano tutti del 1911 in cui non sappiamo se, presi dal vortice del movimento, vorremmo seguire e inseguire chi parte per trattenerlo o rimanere e aspettare curvi e immobili che ritorni. Marinetti canta “le locomotive dell’ampio petto che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi” ed ecco che suoni, rumori e odori si materializzano nel movimento di figure e cose in quadri quali La stazione di Milano (1910-1911) e Sobbalzi di carrozza (1911) di Carlo Carrà. Il tempo e il ritmo sono quelli dati dalla contemporaneità come in Visioni Simultanee del 1911 di Boccioni: lo spazio interno e quello esterno sono rappresentati in un’unica realtà. E’ emblematica La Risata (1911) di Boccioni:
lo spazio è fluido, mutevole e durata e memoria si confondono. In questo ultimo quadro ancora una donna dall’espressione forte con il viso in parte nascosto dal cappello come in Idolo moderno. Dall’espressione forse un po’ clownesca, la donna ride gettando la testa all’indietro: essa rappresenta la baldoria della vita notturna della città moderna e ricorda le atmosfere del Moulin Rouge di Toulouse-Lautrec con i suoi personaggi-attori. I pittori dipingono il dinamismo di linee-forza secondo le loro concezioni: Giacomo Balla lo analizza come in un successione di fotogrammi sovrapposti e leggermente sfasati come in Bambina che corre sul balcone del 1912; per Boccioni forma e spazio si fondono con il colore materializzandosi in linee ascensionali o fasci di luce; in La rivolta (1911) di Russolo
un gruppo di uomini si dirige in avanti seguendo la traiettoria di un unico movimento nel susseguirsi di forme triangolari rosse: “le cose in movimento si moltiplicano, si deformano, susseguendosi, come vibrazioni, nello spazio che percorrono” (la Bellezza nella velocità è un elemento fondamentale per l’arte futurista).
Al primo piano dell’esposizione, sono ancora da segnalare il “rosso” quadro di Carlo Carrà, I funerali dell’anarchico Galli che fa della forza la sua centralità tutta tesa al riconoscimento di un’energia implacabile rappresentata appunto dal colore rosso che domina la tela, il quadro Bambina che corre sul balcone di Giacomo Balla che reitera all’infinito per sovrapposizioni successive il movimento della corsa e Nuotatrici di Carlo Carrà, donne immerse nell’acqua completamente tese nel movimento di allungamento delle braccia e delle gambe.
Al secondo piano, compare la scultura di Boccioni dedicata alla madre, la mater-materia che ha sempre ossessionato l’artista. Troviamo il poliedrico Duchamp, che nel suo complesso percorso artistico sintetizza Cubismo e Futurismo, i loro apporti stilistici e filosofici nel celebre Nudo che scende le scale n. 2 (1912) verso la genesi del cubo-futurismo russo, del verticismo inglese, del sincronismo americano. Un’intera sezione è dedicata al Cubismo, proprio per svelare la relazione tra le due avanguardie, dimostrando quanto spesso sia difficile porre delimitazioni con definizioni troppo nette. Anzi dinamismo e cubismo si rincorrono mettendo a confronto Duchamp e Balla, Boccioni e Duchamp ecc. Alcuni quadri “orfici” di Delaunay (l’orfismo, ossia la ricerca di una “realtà pura”, fu così definito dal poeta Guillaume Apollinaire) sono presenti quali Forme circolari, Sole n. 2 (1912-1913). Da segnalare alcune belle tele, quella intitolata Il ciclista (1913) della pittrice russa Natalja Goncarova che afferma la centralità della creazione di forme nuove, di “una pittura autosufficiente”; quella di Kasimir Malevic, L’aviatore del 1914, che prefigura nel primitivismo delle forme cubo futuriste la visione utopica dell’umanità futura; la Tour Eiffel (1911) di Robert Delaunay e alcuni collages di Picasso quali Pipa, bicchiere, giornale, chitarra e bottiglia di Vieux Marc: Lacerba (1914), Natura morta con Lacerba (1913), Ritratto di Paul Fort (1915).
Fausta Genziana Le Piane
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