Diagnosi preimpianto, produzioni staminali, crioconservazione:
l’ampio dibattito sul referendum di giugno e i quattro quesiti

di Wanda Montanelli

Noi donne siamo interessate, in questo periodo, ad uno degli argomenti che attraversano la nostra vita, passano dal nostro corpo, ci tormentano lo spirito. E’ la legge sulla Procreazione Medicalmente Assistita, che preoccupa e crea perplessità a molte persone, in maniera trasversale.
Per quanto mi riguarda ho una speciale idea dei diritti delle persone che mi permette di avere grandi certezze in quasi tutti i campi al di fuori di questo. Leggo perciò pubblicazioni su giornali, riviste e testi scientifici. Cerco di saperne di più, ma confesso che non riesco ad essere perfettamente convinta su quali siano le scelte giuste su quest’aspetto della vita umana, e sulle potenzialità di radicale cambiamento di valori e disvalori del miracolo della nascita.
Sicuramente la legge 40 va cambiata perché ingiusta e contraddittoria in vari aspetti, tra cui l’ipotesi d’impianto coercitivo, e i limiti ingiustificati alla ricerca scientifica.
Leggo le ultime agenzie stampa dove il premio nobel per la medicina Rita Levi Montalcini aggiunge il suo nome ad un lungo elenco di scienziati, biologi e genetisti che hanno dato vita a “Ricerca e salute”, il documento che sostiene scientificamente i quattro quesiti referendari.
“Quella sulla fecondazione assistita – ha detto la Montalcini – è una buona legge che è andata a colmare un vuoto. In ogni caso va migliorata, ed è per questo che bisogna andare a votare con quattro convintissimi sì”.
Ma che cosa non va nella legge?
I quesiti partono dal divieto (previsto nel settimo comma, dell’articolo 12 della legge) di creare un individuo geneticamente identico ad un altro. Questo esclude la possibilità di ricorrere alla clonazione terapeutica, la produzione, cioè, di “cellule staminali totipotenti”, che sarebbero formate bypassando la fase di produzione dell’embrione che fonde il patrimonio genetico dei gameti maschile e femminile. Infatti, con il primo sì al Referendum si vuole abrogare la seguente frase: “…discendente da un’unica cellula, eventualmente…”, perché abolire questo divieto consentirebbe di produrre linee cellulari staminali mediante una tecnica proposta dal premio Nobel Renato Dulbecco, attualmente impiegata all’estero.
Il secondo quesito riguarda gli embrioni e la salute della donna, il terzo il concetto di diritti del concepito paragonato ai diritti della madre, il quarto la fecondazione eterologa.
Con l’ammissione della fecondazione eterologa, negata oggi dalla legge, si intende permettere la procreazione attraverso un donatore esterno alla coppia. Si ritiene che questo sia un mezzo, anche se non l’unico, per contribuire alla felicità e all’equilibrio affettivo di chi desidera dei figli. In questi casi però credo, ed è un mio parere forse minoritario, che si debba garantire la notorietà del donatore.
Evidenzio qui la necessità di dare radici e storia ai bambini che nasceranno nel futuro, quindi diciamo pure sì alla fecondazione eterologa, ma garantiamo ai bambini che nasceranno il diritto di sapere chi sono. Non possiamo permetterci di mettere al mondo persone che per tutta la vita si chiedano chi era il proprio padre, e che vivano come una perenne frustrazione il sentirsi venuti dal nulla, il nulla affettivo, il nulla storico, il nulla tradizionale e familiare.
Se le distinzioni tra i diritti degli adulti e quelli del concepito trovano teorie e concezioni contrastanti, qui l’ipotesi è di mettere a confronto i diritti del bambino già nato con quelli degli adulti, e non vi sono dubbi che i diritti del bambino vadano posti sopra a quelli di ogni altro.
Passando ad altro ambito che va al di fuori dei quesiti referendari, ma è in ogni caso legato ai diritti dell’infanzia, credo che le adozioni debbano favorire, allo stesso modo, l’esigenza del bambino di sentirsi felice e completo. Sappiamo quanto sia ritenuta importante, dai più avanzati studi di psicologia dell’infanzia, la possibilità per un bambino e una bambina di rapportarsi, talvolta emulando, talvolta contrapponendosi nello sforzo della crescita, al padre ed alla madre. Figure anche vicarie in caso di morte o assenza dei genitori, ma ugualmente importanti per l’affermazione della personalità, la composizione equilibrata della sfera affettiva, la necessità di interfacciarsi, imitare, misurarsi. Per questi motivi è necessario che il bambino abbia un’offerta prioritaria di famiglia completa, di due genitori, vale a dire, padre e madre.
In caso invece di adozioni concesse a single (che andrebbero previste solo in alternativa alla permanenza in orfanotrofio), si renderebbe secondo me necessario l’uso di parametri per stabilire graduatorie di assegnazione basate sulla valutazione di quante persone vivono nell’orbita della richiedente genitrice adottiva single (attribuendo un punteggio maggiore quante più persone tra nonni, zii, sorelle, possono contribuire a costituire una famiglia per il bambino da adottare). Affinché l’assegnare in adozione ad un single possa costituire, in alternativa alla situazione di abbandono, la migliore offerta di vita serena per il bambino, andrebbe misurato il valore aggiunto rappresentato dalla famiglia di origine dell’aspirante genitore; per offrire al bambino un nucleo domestico che costituisca un’ulteriore garanzia di completezza affettiva. Soprattutto in caso di non augurabili, ma possibili, impedimenti dell’adottante (perdita di lavoro, malattia, e ogni altro genere di problema che possa ripercuotersi sul bambino adottato).
In ultima analisi, tornando al primo quesito sulla libertà di ricerca scientifica, è giusto che indagini genetiche per curare l’embrione malato, siano permesse e legittimate. Vanno in questo caso assicurate regole certe sulle procedure che non valichino limiti etici che riguardino gli scopi, la medotodogia, la trasparenza delle ricerche effettuate. A questo proposito va esclusa ogni ipotesi di ricerca selettiva sul patrimonio genetico del bambino che dovrà nascere.
Se così non fosse significherebbe accentuare la corsa all’omologazione, che già avviene per un inarrestabile processo culturale che riguarda i costumi e i consumi.
La globalizzazione delle intelligenze e dei tratti esclusivi di ogni uomo, va perciò impedita, in ogni futura legge sulla PMA per evitare che esseri umani perdano la loro preziosa unicità e divengano degli esseri apparentemente superlativi, ma in realtà banali, seriali, e replicabili attraverso un lavoro sul Dna.
L’artificio va impedito perché non serve né alla felicità dei futuri genitori, né a quella dei loro figli. Non serve a nessuno che non sia affetto da preoccupanti sindromi appartenenti a un oscuro periodo storico di recente memoria.

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