Protagora e Nietzsche sul problema della verità
di Cristiana Bullita

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«Per conservarsi, l’uomo fu il primo a porre dei valori delle cose – per primo egli creò un senso alle cose, un senso umano! Perciò si chiama “uomo”, cioè colui che valuta».
(F. W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, “Dei mille e uno scopo”)

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«Di tutte le cose è misura l’uomo, di quelle che sono, in quanto sono, di quelle che non sono, in quanto non sono».
(Protagora, fr.1)

Nel V secolo a.C., la tesi fondamentale della gnoseologia di Protagora rivela che la verità è assolutamente relativa. Nel XIX secolo, Nietzsche abbraccia quell’impostazione relativistica sostenendo che non esistono fatti ma solo interpretazioni, che la verità è prospettica e dipende dalle nostre inclinazioni teoriche e linguistiche, dai nostri bisogni, dai nostri istinti.
Platone affida a Teeteto l’esposizione della concezione protagorea della conoscenza come sensazione: una cosa è per me come appare ai miei sensi e per te come appare ai tuoi. Infatti:

«Non accade talora che, soffiando lo stesso vento, l’uno di noi abbia freddo e l’altro no? E che l’uno abbia freddo un poco e l’altro molto? […] considerandolo in se stesso, quel vento, in quel momento, come lo diremmo, freddo o non freddo? […] nessuna cosa è, per sé stessa, una sola […] se tu, per esempio, chiami alcuna cosa grande, ecco che essa potrà apparire anche piccola; se la chiami pesante, potrà apparire anche leggera».
(Platone, Teeteto)

Nel Teeteto, il personaggio di Socrate sostiene la teoria platonica che la conoscenza intesa come scienza riguarda sempre l’idea, ossia l’‘universale’ perfetto e immutabile, e mai la percezione sensibile, che è solo opinione mutevole e imperfetta. Viceversa, come si è visto, la concezione di Teeteto/Protagora sfocia nel sensismo, riconducendo ogni conoscenza alle sensazioni del singolo.
È possibile, ma meno probabile, che Protagora intendesse suggerire che ‘l’uomo misura di tutte le cose’ non sia il singolo individuo bensì l’umanità intera, che giudica la realtà in generale sulla base di categorie simil-kantiane e tipiche della specie. Secondo un’altra interpretazione, l’uomo di Protagora deve intendersi come appartenente a un certo gruppo sociale; in tal caso, le “cose” di cui sarebbe misura sono i valori tipici della società in cui egli vive.
Dunque in Protagora e in Nietzsche l’uomo che misura e che valuta lo fa in ambiti diversi: gnoseologico, etico, politico.
Del resto sarebbe inappropriato restringere l’applicazione del “colui che valuta” nietzschiano al solo ambito morale. La scienza, proprio come la metafisica, la religione e l’etica, avanza pretese di verità assoluta e oggettiva. Ma le sue restano, appunto, pretese. Le teorie scientifiche sono solo interpretazioni della realtà attraverso le quali l’uomo – inteso ora come specie – cerca di ingabbiare l’esperienza in schemi concettuali tranquillizzanti. Attraverso procedimenti metodologici rigorosi e attraverso leggi universali, la scienza si sforza inutilmente di afferrare e riordinare qualcosa della realtà caotica che attraversa la nostra esperienza. L’uomo si è servito anche della scienza per puntellare il reale con valori che la morte di Dio ha raso al suolo. Dopo “questo enorme evento”, sconfitti gli dei, distrutte le certezze della religione, della morale, della scienza e della filosofia, l’oltreuomo nietzschiano indossa una libertà inedita e si fa interprete del mondo. La sua volontà di potenza moltiplica gli scenari interpretativi e crea nuovi valori, che però non sono supremi e non vengono universalizzati, ma scaturiscono dall’assenso alla vita che ciascun individuo ribadisce a ogni nuovo respiro, e solo per lui mettono ordine nel caos originario del mondo.

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