marianni - UN 
 AMORE SENILE E ALTRE SPEZIE
di Ariodante Marianni
estratto da Poeti e Poesia, n. 8 /2006

Dancing in the rain

Chi me le mise in bocca
quelle parole d’augurio
d’un grande amore?

Sotto la cupola nera dell’ombrello
dovette esplodere
qualche buia saetta

se chi le pronunciò ne fu colpito,
se gli tornarono indietro
come dirette a sé stesso,

se ne fu benedetto.

La lontananza da lei

La lontananza da
non si misura in chilometri,
in ore di macchina, di treno;
è in crampi allo stomaco,
in fìtte al cuore,
giornali letti, bicchieri bevuti.

La lontananza è questa
saliva amara,
notturna insonnia,
meridiana sonnolenza

eppure il nostro è un amore felice.

Felicità non sperata

Felicità non sperata,
venuta all’improvviso!
Come, quando, perché?
La mente incredula cerca.
Fu quell’augurio detto
sotto una pioggia dirotta,
a un volto intenso, a un’anima
segretamente spiata
(un volto aperto al sorriso
benché prossimo al pianto)
m quella frase, quel viso?

Trascorsero giorni, parole
che racchiudevano inviti,
pensieri che forse si cercavano
a mezza strada, ad un bivio,
in un paesaggio sognato.
La mente cerca, testarda,
vuol risalire alle origini.
Felicità non sperata,
fiorita all’improvviso
Come, quando, perché?
fu una parola, un sorriso?

Febbre incendio trono vento

Può arrivare, inatteso, violento
come il febbrone infantile
che bruciava la gola e massacrava
ogni parola che azzardavo.

È arrivato, inatteso, violento
l’incendio.

Chi è che regna al mio posto,
chi ha usurpato, il mio trono?
Re Lear vagava, diventato folle,
preso a spinte, buttato a terra dal vento.

— — —

Non ci sono steppe né montagne

Non ci sono steppe
né montagne
e valli e fiumi fra di noi,
solo binari di metallo
e stazioni intermedie

prigionieri ci tengono
tempo e doveri,
ci incalzano
coi loro aspetti arcigni,
ci ammoniscono.

I treni, i treni!

I treni, i treni! Ci uniscono,
ci dividono. Questo è un ritorno.
Ti vedo ancora che saluti
dal finestrino, e già esorcizzo
la malinconia che sta salendo.

Fingo di leggere il giornale, di guardare
il paesaggio. Un banco di nebbia
mi rende miope. Un tunnel
mi toglie del tutto alberi e colli,
campi e casali abbandonati

Ci siamo detti il dicibile
con le parole di fiato. Il di più,
l’indicibile, circola ancora nei fiumi
e nei rigagnoli del corpo,
nutre la mente insaziata, mai sazia.

— — —

Com’è bella, mi ripeto

Com’è bella, mi ripeto,
com’è bella! mentre scendo
con cautela i tre gradini
di ferro del vagone,
e tengo stretta la valigia
perché non sbatta e impacci
le ginocchia dolenti;
la vedo così bella, così giovane
che aspetta innamorata
proprio me, proprio me!

— — —

Sei qui, davanti a me, su questo treno

Sei qui, davanti a me, su questo treno,
e io ti guardo e sorrido beato
solo perché viaggiamo insieme.
E i tuoi occhi m’interrogano, m’interrogano,
vorrebbero sapere da me tutto di me,
anche ciò che non so, che non intendo
io di me stesso, che so solo questo
che sono colmo di pensieri e affetti
confusi insieme, come un santo ubriaco.

— — —

Che cos’è l’anima?

Che cos’è l’anima?
arduo concetto:uno stato del corpo?
una sua strana, arcana
modalità?

La svela il barbaro
amore,
coi sintomi, l’effetto
sul respiro,
nel petto,

è quest’affanno,
quest’orgia di pensieri,
questo stretto
corpo a corpo notturno
coi guanciali nel letto.

— — —

L’isola che non c’è

Che cosa c’era di così bello su quei colli
in mezzo a quegli alberi e cespugli,
agavi, pini, mirti, ulivi, glicini,
di tanto arcano o diverso
da altri simili luoghi di vacanze?
Intanto era d’ottobre, fine mese,
nessuno in giro, case vuote, un gatto,
foglie gialle dovunque, l’usuale parata
di fiori e frutti autunnali.

Che cosa c’era, dunque, di così alto e gaudioso
in quella mini-villetta dove due,
destinati dal Caso e benedetti,
danzavano nei loro avvitamenti,
e lei si apriva al suo goloso ardore
con la sorpresa e i turbamenti di una vergine.
Da quanto lontano veniva la loro fame d’amore,
quanti anni e decenni erano occorsi
per ritrovarsi, per riconoscersi?

Densità e leggerezza navigavano insieme
nel cielo azzurro striato di nuvole,
le strade affannose risalivano i colli,
recitando le loro litanie: limone, ulivo,
pelargonio, nespolo, eucalipto, lantana,
e giù, lontano, il mare che scandiva
il ritmo al loro fiato e ai movimenti
mentre tornava a vivere di lui .
la parte più devota alla natura.

Che cosa c’era di così arcano su quei colli,
di così alto da scalzare l’ordine
consueto del tempo, sembrava dirlo
da sua selva oscura, coi suoi fiotti di miele
la sacra Mater, e là di fuori il misterioso popolo
dei licheni, e le alucce delle piccanti zanzare,
e le arche dei santi futuri. «Vedi? –
mormoravano in sogno – c’era davvero,
noi l’abbiamo trovata, l’isola che non c’è».

— — —

Cronache (dove chi come quando perché)

Domenica mattina, primi giorni
di primavera, litorale adriatico.
Passeggiamo tenendoci per mano.
suole affondano nell’umida sabbia,
il cuore è allegro, intorno aria di festa.
Laggiù, oltre il molo, spuntano vele
da diporto, al centro, un vecchio asciutto
manovra con sapienza un lungo filo
con undici aquiloni allineati: li alza
e li fa scendere in picchiata, li volteggia
in eleganti ghirigori. Più in alto,
gabbiani gareggiano col vento. Una folata
mi sospinge fra i piedi un foglio di giornale;
ne occhieggio il titolo: sopra altre sabbie,
undici giovani in una camionetta
saltano in aria su una mina. Stretta
all’aorta. Ma lei mi bacia e io torno felice.

— — —

Turpe senilis amor (Ov)

No, Ovidio, erravi,
non ne avevi esperienza,
quando si è amati è senza
spregiativi ed età:
nudo e trepido amore.

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