di Alina Rizzi

“Perché non te ne vai? Magari da tua madre,” insiste Mara, puntandole addosso due occhi increduli.
Lilly le sorride, sistemando le tazze da te sopra la tovaglia ricamata.
“Non sopporto di vederti così abbattuta e rinunciataria. Mi fai pena, ci credi? Mi fai pena ma allo stesso tempo ti prenderei a sberle.”
Lilly si finge stupita (in realtà è una questione annosa ormai) e anche un po’ offesa. In silenzio inclina la teiera sopra le tazze e versa il liquido fumante e profumato con estrema attenzione. Poi porge il piatto coi biscotti all’amica.
” Mi sembri mia nonna, lo sai? Anzi la mia trisavola, che apparecchiava per il te con le amiche e i dolcetti fatti in casa. Ma sei consapevole del tuo comportamento?”
“Credevo ti piacessero i miei biscotti!” ribatte Lilly, addentando un frollino con gusto e spolverandosi di zucchero vanigliato la camicetta.
Mara la fissa senza fiato: è come parlare con una sorda oppure con un’idiota.
Poi morde con rabbia il dolcetto e ingurgita un sorso di te bollente, che la fa avvampare per il bruciore.
L’altra ride rassegnata, scuote la testa e le porge dell’acqua fredda.
“Dovresti stare più tranquilla tesoro, rischi di friggerti la lingua in questo modo e dopo chi mi striglia?”
Mara quasi si strozza nella foga di parlare.
“Chi ti striglia? Io ti striglio? Non ne hai abbastanza di quel bisonte di tuo marito? Certo lui preferisce i fatti alle parole, è più diretto.”
Quindi afferra una mano di Lilly, ne rivolta il palmo verso l’alto e fissa i lividi sulla parte interna dell’avambraccio, dove la pelle è bianca, quasi trasparente.
Le tremano le labbra quando parla, e non appare più tanto agguerrita e sicura di sé: “Al tuo posto lo ammazzerei quell’animale.”
Lilly annuisce, accarezzandole i capelli come fosse una sorella maggiore, perché vorrebbe consolarla per quella sofferenza che in fondo non la riguarda.
“Veleno per topi,” esordisce dopo un po’, con un sorriso, sperando di alleggerire l’atmosfera. E morde un altro biscotto.
“Non mi dirai che funziona soltanto nei libri di Agatha Cristie?” le domanda.
Mara la fissa negli occhi, senza fiato.
“Ma come fai a scherzarci sopra, me lo spieghi?”
Allora Lilly protesta che non sta affatto scherzando, anche se il tono lo lascerebbe supporre.
“Potrei mescolarlo allo zucchero, preparargli un buon caffè e versarglielo io stessa. Un cucchiaino tesoro? Meglio due, non è vero?”
Mara resta un istante ad osservarla come in attesa, indecisa su come comportarsi finché, incapace di trattenersi oltre, scoppia in una fragorosa risata.
“Lascia perdere. Tu non hai il coraggio di andartene di casa per una cena con le amiche, senza il suo consenso, figurarsi se potresti fargli del male!”
L’amica l’asseconda alzando le spalle e intanto raccoglie i piatti con cautela e li sistema nella lavastoviglie. Spolvera il tavolo dalla briciole.
” Questa è anche casa mia Mara, me la sono guadagnata. E poi c’è un bel giardino che, come sai, è sempre stato il mio sogno. Perché dovrei andarmene? Non sono io quella che ha cambiato tutte le carte in tavola.”
Ma l’amica neppure le risponde questa volta. Si alza in piedi, spinge la camicia nei pantaloni, prende la borsetta e la giacca.
” Secondo me hai la vocazione di una martire, dico sul serio,” commenta sconsolata.
“E comunque neppure una reggia compenserebbe il trattamento che lui ti riserva.”
Poi si avvia verso la porta. Sulla soglia bacia l’amica e promette di telefonarle dall’ufficio, nel pomeriggio.
“Comunque il mio avvocato è disponibile anche per una semplice consulenza,” le ricorda andandosene.
” Te l’ho detto che è una donna, e sa bene come trattare certe questioni.”
Lilly la ringrazia ancora, la saluta con la mano e resta a guardarla avviare il motore della macchina sportiva e partire con uno scatto. Poi torna in casa, dopo avere strofinato bene le pantofole sullo zerbino nell’ingresso.

* * * * *

E’ già buio da un paio d’ore quando lui rientra, quella sera. Lilly lo sente armeggiare col mazzo di chiavi nella serratura e imprecare perché lei si è chiusa in casa. Finalmente trova la chiave giusta, spalanca la porta e la richiude con un calcio che fa vibrare i vetri di tutta la sala. Lilly non ha bisogno di voltarsi per sapere che è entrato in cucina: ne riconosce l’odore di birra e di fumo stantio. Così afferra il piatto con l’arrosto e le patate e lo infila nel microonde.
“Tra due minuti è pronto,” gli comunica girandosi per guardarlo in viso, con la tovaglia in mano.
Lui ha gli occhi lucidi e la giacca macchiata.
“Lascia perdere ho già mangiato,” risponde con tono strascicato.
Lilly stringe con forza il tessuto a scacchi tra le dita.
“Vado di sopra,” dice senza ulteriori spiegazioni.
I saluti hanno smesso di farseli da tempo ormai. Lui sarebbe più affettuoso con una perfetta estranea.
“Vuoi che ti riempia la vasca da bagno?” gli propone esitando.
” A quest’ora? Ma lascia perdere! Piuttosto, dovresti venire a letto anche tu.”
Lilly sa che non si tratta di una semplice proposta, conosce quel tono che non ammette repliche e serra le labbra istintivamente.
“Sbrigati!” insiste l’uomo, inciampando nel primo gradino delle scale.
E’ proprio ubriaco, anche se il tuo atteggiamento non è molto differente quando è sobrio. Lilly ripone la tovaglia nel cassetto, spegne il forno, svuota il piatto nella pattumiera. Non ci pensa più al tempo perso a cucinare per lui, alle pietanze sprecate, che non ha il coraggio di portare al cane del vicino di casa per non suscitare commenti, domande imbarazzanti e giudizi malevoli.
E’ già difficile sopportare di vivere con un uomo che si è traformato in un estraneo in meno di dieci anni, figurarsi se si può aver voglia di diventare il pettegolezzo più ghiotto del quartiere.
Con Marta è differente, è la sua migliore amica. Se non potesse sfogarsi con lei ,in certi giorni in cui proprio non trova la forza neppure per alzarsi dal letto alla mattina, diventerebbe matta.
“Ti preparo un caffè?” grida dalla cucina.
Suo marito è ancora lì sul pianerottolo, indeciso. Barcolla avanti e indietro ma ha sentito perfettamente. E infatti emette un brontolio scontroso.
“Ma mettici lo zucchero questa volta, non il tuo dannato dolcificante!”
Lei non risponde: le offese verbali sono il minimo che può capitarle in serate come quella. E poi, effettivamente, cosa gliene importa della sua salute? Se ha deciso di ammazzarsi di diabete lo faccia pure, peccato non sia previsto un decorso tanto rapido.
Prepara la caffettiera. Certi pensieri ormai le vengono di frequente, e questo non le fa piacere. Non è mai stata una donna aggressiva, non ha mai fatto grandi richieste alla vita. Si considera una persona semplice, poco ambiziosa, ma capace di godere pienamente di un quotidiano sereno e affettuoso.
Scaccia una lacrima imprevista col dorso della mano.
Affettuoso suo marito non lo è più da anni e lei ancora non ne comprende la ragione. Ovviamente non si è mai illusa che l’innamoramento dei primi tempi durasse per sempre: non è un’ingenua o una sprovveduta. Ma neppure aveva preso in considerazione quell’umiliante fallimento.
Ormai a suo marito interessa soltanto andare a lavorare, più che altro per esercitare i suoi poteri di capetto nell’impresa edile in cui è assunto da quando aveva sedici anni. E poi perché senza denaro non si può campare, ovviamente.
La sera torna tardi, dopo aver bevuto al bar con gli amici o qualche collega.
Lei lo aspetta per la cena, anche se non sa mai quando lui arriverà. Infatti a volte rincasa così tardi che vuole solo buttarsi sul letto e inebetirsi davanti alla televisione accesa su un programma sportivo.
Non le chiede se lei a cenato, come ha trascorso la giornata, come sta.
Non ha curiosità nei suoi confronti.
Gli basta che stia a casa ad aspettarlo e accudirlo come una moglie d’altri tempi.
Infatti Lilly ha smesso da tempo di lavorare: a lui non faceva piacere immaginarsela in ufficio, ben vestita, ben truccata e pettinata, con la possiblità di conoscere gente nuova, di pranzare con altri uomini. Le ha fatto lasciare il lavoro convincendola che lui avrebbe procurato tutto ciò che serviva ad entrambi.
E con l’idea di avere presto un bambino da accudire.
Lilly gli ha creduto, ma ha fatto male.
Lui l’ha voluta a casa per soddisfare il suo egoismo e la sete di potere che nasconde malamente. E i figli non sono arrivati, ma questo è un fatto positivo, pensa Lilly, adesso. Non sopporterebbe di far crescere un bambino in un ambiente dove l’amore si è volatilizzato. E con un padre simile! Lei ormai agli schiaffoni ci ha fatto l’abitudine. E anche alle spinte che la fanno cadere a terra, ai lividi che si ritrova nelle parti più esposte del corpo, alla paura che la violenza di lui possa degenerare e mandarla all’ospedale. A tante donne capita, lo sa, li legge i giornali. Per un po’ ha pensato di poter cambiare le cose, dimostrandosi arrendevole, ubbidiente, affettuosa.
Se lui era stato un uomo dolce, ai tempi del fidanzamento, forse poteva tornare ad esserlo, sperava. Ma la previsione di rivelò del tutto infondata. Suo marito si era trasformato in un estraneo, dispotico e violento, e davvero lei non sapeva dire se e quando, quella sua furia cattiva, sarebbe mai esplosa del tutto. Il rischio c’era, lo vedeva. Non erano necessarie le strigliate di Mara per capire che ormai viveva in una situazione pericolosa.
“ Allora? Ti sto aspettando!” urlò lui dal piano di sopra.
Lilly aspetta che l’acqua bolla nella caffettierae intanto guarda fuori dalla finestra, il giardino ben curato, col vialetto di ghiaia, le aiuole di tulipani e narcisi, le rose rampicanti che formano una barriera protettiva dal mondo esterno. Ha costruito il suo angolo di paradiso alla periferia della città, lavorandoci con dedizione e passione. E tra quelle piante le piace leggere, pensare, telefonare a qualche amica. D’estate vorrebbe sempre pranzare sotto le fronde generose della betulla, se suo marito non la costringesse a ritirarsi in cucina – dove c’era la televisione – col bello e col cattivo tempo.
Fosse sola la sua vita avrebbe altri ritmi, altri colori, altre priorità.
Fosse senza marito probabilmente non soffrirebbe tanto di solitudine.
L’ennesimo ringhio proveniente dalla camera da letto, confuso dal volume troppo alto del televisore, la fa trasalire.
Tornare alla realtà qualche volta è una doccia gelata, anche se il peggio deve ancora venire.
Lilly sistema la tazza e il piattino sul vassoio poi apre l’armadietto in alto, tendendosi sulle punte dei piedi.
Il peggio è che lui non ha rinunciato a quelli che definisce “diritti coniugali”. Poco importa cosa vuole lei.
Senza far troppo rumore sposta le scatole delle zuppe precotte, le bottiglie della salsa di pomodoro e afferra un barattolo nascosto più in fondo, a cui giorni prima ha tolto l’etichetta. Lo svita con attenzione e deposita un po’ della polvere bianca nella tazzina. Sa che è la quantità necessaria, ha letto e riletto le istruzioni.
“Quanto ti ci vuole? ” urla l’uomo con impazienza.
Lilly versa la bevanda bollente con estrema cura, senza fretta. Gira il caffè col cucchiaino poi dispone tre biscotti sul vassoio, con la scatola delle pillole antiacido. Dopo aver lanciato un’ultima occhiata al suo colorato giardino spegne la luce, anche quella del portico, e la casa viene isolata dal buio.
Chiude la porta della cucina silenziosamente e sale le scale che portano in camera, da suo marito, fantasticando su come potrebbe essere tutto diverso.
Entra nella stanza con un timido sorriso, ma lui non si volta a guardarla.
Sarà un caffè dolcissimo.

Alina Rizzi
(Racconto pubblicato sul mensile LE DONNE RACCONTANO, febbraio 2011)
http://www.segniesensi.it

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