di Angela Diana Di Francesca

Quell’anno, dopo le prime piogge di novembre, il clima ritornò caldo. Le mattine si succedevano azzurre e soleggiate, e la gente rimise da parte gli impermeabili e i giacconi pesanti. Dapprima furono i soliti discorsi sul tempo che è cambiato e che non si capisce più niente, o sull’estate di San Martino che si prolunga. Poi venne dicembre; la mattina si sentivano gli uccelli cinguettare attorno ai nidi, le rondini non erano partite. Le notti erano tiepide e chiarissime, e in televisione cominciarono i dibattiti sulla situazione meteorologica. Qualcuno dei ragazzi saltava la scuola per andarsene in spiaggia, il clima fu argomento di battute nei cabaret e di gags negli spettacoli. Ma poi, era quasi Natale, il sole mutò colore. La luce prese una tinta dorata, d’un oro come spento. E lontano nel cielo azzurrissimo si vedevano faville dorate, come fuochi d’artificio silenziosi.
Allora iniziarono le telefonate ai centri geofisici e agli osservatori astronomici. Le trasmissioni scientifiche parlarono degli “strani fenomeni” e li ricollegarono all’effetto-serra. Gli esperti dissero che che il mutamento climatico avrebbe avuto breve durata e nessun effetto negativo. Nei talk show, astronomi e dive discussero sull’argomento, tra sorrisi e break pubblicitari. Le ditte impostarono le loro campagne pubblicitarie sul “Natale tropicale”, lo slogan “Il tuo Natale è un fiore di serra” fu premiato col Delfino d’Oro, e ci fu la solita ridda di pacchi, pacchetti e panettoni. Per tutto gennaio non piovve.
I grilli, la notte, cantavano come in piena estate.
A fine gennaio, i dibattiti sul clima cessarono. Ogni mattina ci si alzava con un senso strano di angoscia e per prima cosa si guardava il cielo, aspettando di vederlo finalmente color cenere, o gonfio di nuvole. Ma il cielo era azzurro, percorso in lontananza da strisce e scintille d’oro, e la luce sempre più giallastra e abbagliante.
Sui giornali, non una parola sul tempo. La situazione politica, i processi, gli incidenti, le cronache mondane. Di notte, cominciarono ad attraversare il cielo grosse stelle cadenti. Ma nessuno ne parlava. Le battute sul tempo erano scomparse dagli show.
Una sera durante uno spettacolo in diretta l’attore comico Enrico Fassi (morto poi in un incidente d’auto), mettendo da parte la scaletta urlò nel microfono: “Perché state a rincretinire dietro a questi spettacoli, perché non vi chiedete com’è che non vi dicono la verità, che la terra sta deviando dalla sua orbita, che l’asse…” A questo punto la trasmissione fu interrotta per qualche minuto, poi il comico riapparve sorridente e sornione a dire che era tutto uno scherzo. Quello fu uno degli ultimi programmi ad andare in diretta.
Le congregazioni religiose organizzavano processioni per chiedere la pioggia; e la notte la musica che usciva a fiotti dalle discoteche si mescolava alla cantilena delle litanie. I profeti delle sette mistiche predicarono le piaghe d’Egitto e la fine del mondo. Non c’era nulla, in fondo, – quasi nulla – di anormale. La gente faceva la spesa, lavorava, comprava, affollava i bar, le discoteche e le strade: ma con qualcosa di spento negli atteggiamenti e nella voce, come oppressa da un pensiero fisso o da una condanna inesplicabile.
Il diciotto febbraio i negozianti tolsero dalle vetrine gli articoli invernali e fecero l’esposizione con abiti leggeri, dai colori allegri e lucenti. I visi dei vetrinisti erano terrei mentre sistemavano tra i manichini i gelati di plastica, le conchiglie e le reti da pesca. La luce del sole s’era fatta rossiccia: nelle campagne la terra si spaccava per la sete e le vipere giungevano a cercare acqua nei rubinetti delle case fuori paese. La gente si era riunita in comitati, e i comitati erano andati in delegazione agli istituti geofisici, ai Ministeri, alla Prefettura, ottenendo risposte generiche, tranquillizzanti e contraddittorie. Poi i comitati furono sciolti e le riunioni vietate. E poi domande e proteste cessarono. Agli inizi di marzo la gente conservò negli armadi la roba invernale, e cominciò a discutere dell’estate. Le riviste proposero le nuove collezioni di costumi e le ragazze li comprarono, e comprarono gli abbronzanti per andare al mare. I cantautori composero canzoni per l’estate, la spiaggia iniziò a popolarsi e tutto sembrò uguale a prima.
Ma in certi momenti la luce rossiccia aveva come un’intermittenza – più chiara più scura -, e nel cielo senza una nuvola s’infittivano le scintille d’oro come muti fuochi d’artificio, messaggi indecifrati e lontani.
Allora anche nei gruppi più chiassosi si spandeva uno strano, spesso silenzio, dove dominava il fruscio del mare e lo stridio di innumerevoli uccelli.

Angela Diana Di Francesca

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