In occasione del nono anniversario della morte del grande antropologo, ecco quanto scrissi nel febbraio 1997
di Maddalena De Leo
Mio caro Professore,
ho appreso oggi della Sua morte, dal video e quasi per caso.
Che tristezza sentire che uno studioso come Lei non è più fra noi in questo mondo ad osservare i comportamenti strani e spesso balordi di noi poveri uomini.
Apprendere la Sua dipartita, Professore Alfonso Di Nola, Lei che era sempre così impegnato fra studi, pubblicazioni ed interventi televisivi, ha lasciato un vuoto profondo nell’animo di chi come me è stato parecchi anni or sono Suo studente a Napoli presso l’Istituto Universitario Orientale perché, anche se il tempo e le vicissitudini quotidiane hanno allontanato quegli anni ‘giovani’ della nostra vita, essi ci vengono poi riproposti, spesso in maniera brutale, come in questo caso dinanzi ad una tale notizia.
Dopo un primo momento di sbigottimento ho richiamato alla memoria i ricordi più belli che avevo di Lei ed inevitabilmente ho ricordato i miei vent’anni, quando ancora ingenua ragazzina mi accostavo all’Università con una gran voglia di vivere e scoprire il mondo.
Al primo anno l’esame di Storia delle Religioni, un po’ dietro consiglio di altri studenti, un po’ per autentico interesse per questa branca della cultura. Poi le lezioni tenute da Lei, Professore, maestro del sapere partenopeo che sapeva calamitare l’attenzione di tanti giovani con discorsi ed esempi sempre nuovi su argomenti di antropologia che apparentemente sembravano scontati. Sempre affollatissimo era infatti il Suo corso, anche se la lezione si teneva di sabato ed io, come tanti altri studenti, viaggiavamo in treno da lontano, aggiungendo un giorno in più al nostro pendolariato quotidiano pur di ascoltare le Sue interessanti parole.
Ricordo anche che poi, una volta terminata la ‘nostra’ mattinata accademica, io e Lei ci ritrovavamo in stazione in attesa del rispettivo treno ed io La sbirciavo con curiosità, da lontano, senza che Lei potesse accorgersi di me visto che non mi conosceva.
Quando poi Lei, Professore, organizzò il viaggio in Abruzzo nel paesino di Cocullo, della cui festa annuale noi studenti dovevamo studiare il rito, io La seguii, anche se ‘in proprio’, riportando così una delle più belle esperienze della mia allora giovane vita.
Si, una giornata di maggio indimenticabile, una immersione completa in quella cultura che Lei tanto egregiamente aveva definito ‘subalterna’ e che in quella maniera così diretta ci invitava a scoprire.
Poi, in autunno l’esame: che emozione, anche da parte Sua, quando Le mostrai la bustina con la terra raccolta in primavera a Cocullo, prova inconfutabile della mia presenza alla festa dei serpari. Meritai la Sua lode ma in quel momento mi colpì soprattutto la Sua umanità semplice e priva di sovrastrutture accademiche.
E non finì lì: durante il mio corso universitario, brillante e brevissimo, ritornai talvolta ad ascoltarLa incantata e per anni ho poi seguito sui media quella che era l’informazione più superficiale sulla Sua vita, spesso acquistando un Suo libro e notando Suoi articoli sui principali quotidiani nazionali sino ad arrivare alla notizia appresa oggi che, in un certo senso spezza dopo tanti anni quel filo invisibile che mi legava ancora attraverso Lei ai primi anni dell’Università.
Vorrei dirLe adesso grazie per ciò che ha dato a noi studenti d’allora che, ormai quasi tutti insegnanti a nostra volta, abbiamo ancora Lei come punto di riferimento nel contatto quotidiano con gli alunni.
Non solo come esperto di storia dell’ebraismo e di religioni, Lei rimarrà nel nostro e nel mio ricordo per sempre un maestro di vita.
Maddalena De Leo
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