di Alfonso Gianni

al - UN 
 VENTO NUOVO DALL'AMERICA LATINA

Mentre in Europa trionfa la logica dell’austerità e della liquidazione delle politiche di bilancio contenuta nel cosiddetto fiscal compact; mentre il nostro Senato si appresta a discutere in quarta e finale lettura l’introduzione in Costituzione del principio del pareggio di bilancio, che, se venisse approvata con la maggioranza dei due terzi, non potrebbe essere sottoposta a nessun referendum popolare; mentre non solo la sinistra moderata si schiera a favore della riduzione del debito a tappe forzate e inneggia all’autonomia della Bce dal potere politico, ma anche donne e uomini che si proclamano radicali corrono a firmare appelli, come quello italo-tedesco, che chiedono ai rispettivi parlamenti nazionali di ratificare in fretta quello che è una pietra tombale sulle loro residue possibilità di decisione in materia di politica economica; mentre quindi in Europa avviene un fenomeno all’apparenza strano, ovvero, per dirla con le parole del titolo dell’ultimo libro di Colin Crouch, “la strana non-morte del neoliberismo”, malgrado le evidenti bocciature subite dall’inizio di questa crisi; mentre tutto questo accade, dal Nuovo continente provengono voci nuove e affatto diverse.
Per sentirle bisogna spingersi ben più a Sud di Obama.
Per esempio in Argentina, ove un ramo del Parlamento ha già approvato un nuovo Regolamento Organico della banca centrale. Si tratta di una modifica importante e significativa. In sostanza viene cambiata la missione principale della Banca centrale argentina, che non consisterebbe più soltanto nel “preservare il valore della moneta”, ossia occuparsi della stabilità monetaria, ma diventerebbe quello ben più impegnativo di promuovere “lo sviluppo economico con la giustizia sociale, l’occupazione e la stabilità finanziaria”.
I modi con cui ciò avverrebbe necessitano di ulteriori discussioni e approfondimenti. Ed è soprattutto chiaro che bisogna tenere conto della storia economico-monetaria specifica dell’Argentina, soprattutto per quanto riguarda la famigerata parità dollaro-peso alla base della crisi del 2001 e dello shock che ne seguì. Ma, pur considerando tutte queste specificità e restando prudenti sul giudizio delle modalità ancora da definire con le quali il principio sarà implementato, è evidente che siamo ad una svolta di tipo epocale.
Crolla infatti uno dei mantra dell’ideologia neoliberista, ossia la autonomia della banca centrale, la sua assoluta dedizione alla stabilità monetaria, ovvero alla lotta all’inflazione, che ha minato nel profondo la sovranità in materia di politica economica degli Stati. E’ esattamente su questo principio che è fondata la Banca centrale europea e gli articoli del Trattato di Maastricht che ad essa si riferiscono, nonché gli ultimi aggiustamenti, come il già citato fiscal compact, che lo peggiorano.
Il percorso del provvedimento non è ancora ultimato. Si attende il responso del Senato argentino.
Non sappiamo ovviamente quanto questo servirà ad una rinegoziazione del debito con i paesi del “Club di Parigi” e quanto invece, la qual cosa sarebbe largamente preferibile, ad incrementare effettivamente un nuovo tipo di sviluppo interno. Ma mi pare chiaro che in America Latina le logiche keynesiane stanno conoscendo una nuova stagione.
Tanto più che questo non avviene in chiave nazionalistica e non è limitato a questo o a quel paese. Lo dimostra l’esperienza e il dibattito attorno al “Sucre”. Sucre è un acronimo perfetto. Indica il nome di uno dei più valorosi luogotenenti di Simon Bolivar, Antonio Josè de Sucre e allo stesso tempo racchiude le iniziali del Sistema unitario di pagamento a compensazione regionale. Il sucre, insomma, è una moneta virtuale non coniata, ovvero un’unità di conto per gli scambi internazionali, l’ultima incarnazione del celebre Bancor pensato, ma senza successo, da John Maynard Keynes ai tempi della Conferenza di Bretton Woods del 1944.
E’ stata adottata dai paesi dell’Alba (Alianza bolivariana para America Latina y el Caribe), l’alleanza che poggia le sue fondamenta su Venezuela, Cuba, Ecuador e Bolivia, più altri paesi minori, tra cui il Nicaragua, sorta in contrapposizione all’Alca voluta dagli Usa. In pratica funziona così – ha spiegato in un’intervista al Manifesto, Manuel Ceresal, docente a Caracas ascoltatissimo da Hugo Chavez – : se un importatore venezuelano paga la banca commerciale in bolivar, questi ritornano alla banca centrale; quest’ultima li cambia in sucre, poi li trasferisce via web alla banca centrale della Bolivia che li converte nella moneta nazionale con cui regola la transazione con l’esportatore boliviano.
Si noterà che il dollaro non compare mai in questi passaggi. E che il progetto intende combattere gli squilibri commerciali, puntando alla tendenziale parità tra esportazioni e importazioni. L’esatto contrario di quanto succede in Europa nel rapporto fra la Germania e gli altri paesi che invece si fonda esattamente sul surplus della prima e il deficit della bilancia dei pagamenti di tutti gli altri.
Infatti Manuel Ceresal non lesina critiche a come si è sviluppato il processo di unificazione europea, mettendo il dito proprio sul “volontarismo” dell’euro che avrebbe stordito l’Europa, ovvero la convinzione che l’unità monetaria in fondo bastasse come atto fondativo e che il resto sarebbe venuto da sé.
In effetti bastava, ma solo al capitale. Non certo al mondo del lavoro. E lo stiamo scontando amaramente.

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