La “Napoli di ieri” di Francesca Santucci si muove sull’onda della nostalgia, come evidenzia la poesia “Nustalgia”, posta in apertura della raccolta, e sull’onda della memoria, come esplicita il racconto “Ieri”, che si conclude con il saluto alla nonna, che poeticamente rivive nella sfumatura viola della conchiglia, immagine conclusiva del racconto “Non addio, meravigliosa nonna”, penultimo della raccolta.
Mito e realtà si compongono in armonia nella sapiente orchestrazione e nel fine cesello della penna di Francesca Santucci. E’ la rievocazione della Napoli di ieri col suo calore, la sua umanità, la sua saggezza, che la nonna impersona. Il mito letterario, esteticamente vivo in un’artistica autonomia, è nutrito dalla esistenza reale del personaggio (‘nonna”/”Napoli”), che lo ispira dall’inizio alla fine. Non casualmente, alla fine della raccolta, l’immagine della nonna che se ne va si ripropone e con la nonna se ne va l’infanzia e l’adolescenza dell’Autrice, il suo “ieri”, e se ne va pure un’epoca: quella del Natale di Napoli, quella della notte della Vigilia da trascorrere giocando a tombola prima del rito della Santa Messa. E’ individuale e collettivo questo rimpianto di un’epoca e di una città che non c’è più. Si apre con una poesia “Nustalgia” e si chiude con un’altra poesia “Zampogne”, che evoca ancora il tempo che se ne va e più non torna. Inizio fiducioso, conclusione triste, recupero della memoria e sentimento del tempo che scorre, in una perenne oscillazione fra gioia e tristezza, che fa vivere al lettore momenti di ilarità, umorismo, dolcezza, commozione.
In un composito e multicolore mosaico di personaggi, ritratti dal vivo, sullo sfondo di una storia che si dipana per tutto l’arco di un secolo. Il tutto è aromatizzato da profumi di menta, basilico, origano e fiori e dinamizzato da suoni, voci, canti, gesti, insaporito da leccornie e piatti succulenti, volutamente presentati in un’inesauribile, doviziosa, umoristica elencazione. Non è facile ricreare un’epoca senza cadere in una noiosa cronaca realistica e piatta. Francesca Santucci riesce a far vivere e a far percepire lo scorrere del tempo attraverso la storia dei suoi personaggi, attraverso i dettagli degli abiti, dei gusti, delle usanze, attraverso l’evocazione dei miti collettivi del XX secolo: le partite di pallone, le ideologie, il sogno americano.
I personaggi principali non sono mai soli. Il quartiere popolare dell’Arenaccia col suo profumo di cibi semplici, preparati con amore, con l’eco dei pettegolezzi delle comari, vive di una vita comunitaria, nel bene e nel male. Il male,tuttavia, quasi non esiste. E’ assente la morale arcigna e manichea; c’è sempre spazio per il ravvedimento e per il perdono, per la correzione dell’errore. Talvolta l’ambiente è spietato, ma lo è piuttosto nei confronti di ciò che bello non è. In fondo certe azioni, che normalmente sono considerate riprovevoli, si compiono per necessità (“A Poggioreale”), per amore e per reagire alla solitudine (“La testa nel pallone”).
Caterina, la bambina buona e intelligente, nella quale non è difficile scorgere l’Autrice bambina, osserva attenta e sentimentalmente partecipe questo mondo colorato che si eterna nella scrittura polimorfa e sinestetica, dove la descrizione doviziosa di particolari, sostanziata di cultura e di riferimenti dotti, si intreccia con i dialoghi,dove la lingua italiana si mescola con l’espressiva e immaginifica lingua partenopea, a riproporre la poeticità e la dolcezza di un popolo, nato per essere artista, soprattutto nella vita e nei sogni.

Antonia Chimenti, Toronto 18 aprile 2006

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