di Fausta Genziana Le Piane

fabbrica - UN'ARTISTA 
 SENZA PELLE
deserto nero: Adriana Centi

Adriana Centi è un’artista senza pelle: gli avvenimenti del mondo -violenza, guerre, inquinamento- fanno sanguinare la sua anima e la gettano in uno stato di prostrazione che solo conoscono gli spiriti nobili e sensibili: caratteristiche, queste, sia dell’opera pittorica che di quella poetica. Scrive preoccupata nella poesia intitolata “La quiete sognata” (“Barche di carta tinte d’inchiostro…”): Un tuffo nell’acqua salmastra/ libero nella sua nudità/ novello Adamo puro risplende/ Isole,…nèi del mare,/ dove stanca naufraga l’onda/ noci di cocco rigogliosi palmizi/ verdi ventagli a gioco di vento/ colibrì dai vivaci colori/ procellarie dal robusto volo/se pesci avessero voce/ canterebbero./ L’urlo della sirena/ dissolve la quiete sognata/ alla centrale nucleare/ inizia il turno di lavoro. Sviluppato secondo linee orizzontali, delle montagne, della fabbrica e del cumulo di rifiuti, rigorosamente privo della presenza umana, (peculiaritàgià rimarcate in altre tele della pittrice), questo quadro è un manifesto di denuncia, nostalgia e amore. Ricordate il film di Michelangelo Antonioni intitolato “Deserto rosso”, interpretato da Monica Vitti e Richard Harris? In comune, Antonioni e Centi hanno l’intento artistico: denuncia per una società lasciata ai suoni insensati degli altoparlanti di scomposti manifestanti, abbandonata al fumo delle fabbriche che si spande e uccide senza criterio, alla distrazione, alla disumanizzazione, alla presenza di silos ingombranti e di detriti accatastati; nostalgia per rapporti di vera comunicazione tra uomini e donne, rimpianto per l’equilibrio perduto con il mondo naturale; amore per la natura, per la vita, per la bellezza, per l’atto creativo. L’amore trionfa nonostante tutto sulle potenzialità di morte attraverso la rappresentazione dei colori usati, il verde per Antonioni, il blu per Adriana. Adriana, come Monica Vitti-Giuliana, non riesce a capire le ragioni della società in cui vive, si sente alienata, lontana. Come Giuliana, Adriana sembra dire “non guarirò mai”, ma è preferibile non crederle, siamo più o meno tutti da curare…
Le linee orizzontali indicano la volontà di procedere in avanti sottolineato dalla fabbrica che, a ben guardare, si trasforma davanti ai nostri occhi in una barca che va. E non è un caso che in “Deserto rosso” si vedano velieri e bastimenti che avanzano nella nebbia. Il deserto in cui viviamo è rosso per il sangue versato, nero per l’incomunicabilità del dialogo svuotato di senso, ma è anche verde, celeste e azzurro e può trasformarsi in un mare mutevole e luccicante in cui è bello lasciarsi trasportare dalle onde. “Quando più nessuno ha fiducia nell’arrivo del transatlantico, il rauco suono di una sirena scuote l’aria” dice Fellini in “Amarcord” e allora seguiamo con stupore il Rex che passa lontano, carico di sogni, affrontiamo un futuro luminoso come fulgente è quel tocco di celeste del cielo del quadro della Centi poiché, come dice Richard Harris-Corrado nel film “si crede nell’umanità e nel progresso” anche se “nella realtà c’è qualcosa di terribile.

Fausta Genziana Le Piane

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