di Nadia Angelini

Se non fosse sufficiente vantare nella nostra storia di Italiani il “Sommo Padre Dante”, la cui gloria illumina la nostra bella Terra che gli dette i natali, se ciò dicevo, assurdamente potrebbe non inorgoglirci abbastanza; non avremmo che da porgere lo sguardo ai Giganti cui fa riferimento la cultura appartenente ad ogni secolo della nostra storia.
Sarà questo a far sì che in ognuno di noi si insinui l’orgoglio e la passione per le belle lettere.
Il Carducci, il Pascoli, il Foscolo il Parini , Alessandro Manzoni, per non aggiungere altri nomi come per esempio Dannunzio, Leopardi… bene, questi sono soltanto alcuni tra le grandi menti che onorano i secoli più vicini a noi.
Mi piacerebbe ripercorrere con Voi alcuni momenti della nostra letteratura moderna; desidererei prendere in esame, ogni volta che ne avrò l’occasione, uno di Loro ed avrei pensato d’iniziare dal Pascoli.
Romagnolo di nascita, quarto di dieci fratelli, due dei quali morirono in tenerissima età, nato in una famiglia contadina, nel dicembre del 1855 rimase orfano di padre nella prima adolescenza.
Credo sia il caso di sottolineare che fu costretto a prendere le redini della sua casa quando, appena ventenne, dopo la morte della madre, anche suo fratello Luigi, maggiore di lui, morì per meningite.
Certamente non ebbe una giovinezza felice; la sua famiglia andò disgregandosi a causa di una serie di lutti, tuttavia riuscì a non tralasciare gli studi classici le cui radici rappresentarono sempre il grande amore della sua vita.
Nel 1882 laureatosi iniziò ad insegnare nei licei Di Massa, Matera per poi giungere a Livorno.
Animo tormentato, completamente compreso in quella che divenne per lui una specie di ossessione: la ricostruzione di un nido familiare perduto troppo presto.
Fu indubbiamente un uomo di elevati valori morali, cosa che lo portò ad allontanarsi dalla politica dopo aver conosciuto, a causa di questa, lo squallore del carcere.
Esponente a pieno titolo, del secolo decadentista che visse, sembrò addirittura rifiutare quel POSITIVISMO che ancora fluiva dagli albori ottocenteschi.
Nutrì invece il proprio IO di valori trascendenti da tutto quello che il mondo esterno, gli proponeva come eco di una modernità chiassosa in fieri.
Così come nel Carducci ritroveremo nei suoi versi quell’amore sconfinato per il luogo natìo: Dolce paese, onde portai conforme/l’abito fiero e lo sdegnoso canto…”disse il grande Giosuè, mentre in Pascoli leggeremo: Romagna solatìa dolce paese/ cui regnarono Guidi e Malatesta..” Ed ancora qui il tormento del nido vuoto… /Ma da quel nido, rondini tardive,/tutti tutti migrammo un giorno nero;/io, la mia patria or e’ dove si vive;/gli altri son poco lungi; in cimitero.
Ma qui anche ritorna il famoso “Fanciullino pascoliano” che prende vita da versi ariosi, forse i più sereni della sua produzione letteraria, ad eccezione del breve accenno ai suoi morti.
Si, perché infine cosa rappresenta il suo famoso fanciullino? E’ indubbiamente la parte infantile d’ognuno di noi che resta imprigionata nell’anima d’ogni adulto e che solo al Poeta è dato ascoltare e vivere.
Questa, credo sia la chiave di lettura che caratterialmente dominò la produzione letteraria del Pascoli.
Quest’uomo fu un “semplice” un intimista; essenzialmente colui che raccontò sensazioni, dolori, ricordi e situazioni che furono parte intrinseca del suo vivere, e le rese in poesia attingendo molto spesso al ricordo, come nel caso della Poesia “L’aquilone” che reputo personalmente la sua più bella in assoluto:
Meglio venirci con la testa bionda,
che poi che fredda giacque sul guanciale,
ti pettinò co’ bei capelli a onda tua madre…/adagio, per non farti male./
Questa in sintesi la filosofia del Pascoli, che filosofo non è assolutamente, nella sua quasi ostentata semplicità.
Disse di lui il Dannunzio«Egli mostra di non dare molta importanza, nella composizione della sua strofa, all’elemento musicale delle parole, che sceglie con grandissima cura. Nelle sue poesie rare volte si sente l’indefinito.”
Se è giusto dire che in Pascoli ritroviamo una semplicità lessicale, oserei dire impropria, se rapportata ad un uomo di lettere quale egli era, lo è altrettanto osservare la perfetta sonorità che di volta in volta sa dare alle sue liriche…parliamo per esempio della celeberrima “Cavalla storna”
Questa poesia è composta di strofe di due versi endecasillabi ciascuna, in rima baciata e si avvale di enjambement (fine di un verso che scende come inizio al successivo) regalando una particolare pathos.
In questo caso, il ricordo dolorosissimo per la morte del padre, che diviene nenia, filastrocca… in una età ormai ben più adulta.
E’ giusto dire a questo punto che l’opera di Pascoli s’incentra su tre diverse linee espressive: quella della poesia in italiano, di cui abbiamo trattato alcuni spunti, di quella in latino ed infine va anche ricordata la sua attività di critico e commentatore di Dante.
Dopo aver rilevato la cattedra all’Università di Bologna, lasciata vagante dal Carducci, nell’ultimo periodo della sua vita sarà Docente all’Università di Messina.
Muore a Castelvecchio nel 1912 gli ultimi suoi lavori furono “I Poemi del Risorgimento”, lasciò ai posteri una sostanziosa documentazione letteraria fra cui cito :1891 – Myricae 1897 – Poemetti 1898 – Minerva oscura (studi danteschi) 1903 – Canti di Castelvecchio (dedicati alla madre) 1891 – Pensieri e Discorsi…ecc.
Ci fermiamo qui, anche se molto altro sarebbe giusto ancora dire…
Di tutti i Poeti maggiori terrò conferenze nei prossimi mesi e, se avrete piacere, sarò lieta di farmi ascoltare anche da Voi.

Nadia Angelini

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